Il primo governante russo che «dai tempi di Stalin» ha dato direttamente l’ordine di eliminare un oppositore – in questo caso Aleksej Naval’nyj, scampato per un soffio alla morte per avvelenamento. Ma anche lo stratega della «guerra sporca» in Cecenia, l’uomo che ha ridestato i fasti tragici della Russia zarista come dell’imperialismo sovietico. E, al tempo stesso, il politico che ereditando la guida del Paese da Eltsin dopo il crollo dell’Urss e la stagione delle privatizzazioni banditesche ha assunto per molti russi il profilo del «salvatore». Il leader che ha lanciato la sfida al mondo con l’invasione dell’Ucraina e oggi minaccia di ricorrere alle armi atomiche, ma che vent’anni fa aveva sperato che gli occidentali, a partire dagli americani, accogliessero l’ex Urss come un partner alla pari nel consesso internazionale. C’è tutto questo e molto altro ancora, a partire dal profilo personale del personaggio, in Putin. Una vita, il suo tempo (Marsilio, pp. 986, euro 34) che il giornalista Philip Short, a lungo corrispondente della Bbc da Mosca, Washington e Parigi e autore di testi importanti su Mao, Pol Pot e Mitterand dedica al leader russo: un libro che racconta anche grazie a decine di interviste e documenti inediti il profilo inquietante del ventennio putiniano.

L’ex corrispondente della Bbc da Mosca, Washington e Parigi Philip Short

Partiamo dalla domanda che il mondo si sta ponendo ora riguardo a Putin: per come ha imparato a conoscerlo, lavorando per otto anni a questa biografia, il presidente russo potrebbe davvero dare il via libera all’utilizzo di un ordigno atomico?
In determinate circostanze, penso proprio di sì. Stiamo parlando di armi nucleari da campo che hanno meno di un terzo della potenza delle bombe usate a Hiroshima e Nagasaki, ma che restano delle armi terribili e di cui Mosca ha una vasta scorta, oltre duemila ordigni. Credo che Putin vi potrebbe far ricorso come ultima risorsa, se non riesce a fermare altrimenti l’avanzata ucraina. Nel frattempo, la Russia ha già aumentato gli attacchi informatici contro Kiev e potrà intensificare i bombardamenti contro i centri abitati ucraini o gli attacchi alle infrastrutture occidentali: gasdotti, collegamenti sottomarini per interrompere il traffico Internet e telefonico. Se nulla di tutto ciò funziona, perché Putin decida l’uso di armi nucleari tattiche dovrà ritenere che sia in atto una minaccia per «l’esistenza» della Russia. Quale? Ad esempio un tentativo ucraino di riconquistare la Crimea o una minaccia alle aree del Donbass che la Russia deteneva prima del 24 febbraio. Poi c’è la questione delle zone che Mosca ha recentemente annesso: anche in questo caso è possibile che se gli ucraini ne riprenderanno delle parti, la Russia opti per la risposta peggiore. Quanto alle modalità di questo utilizzo, mi aspetterei un attacco concertato utilizzando diverse dozzine di armi nucleari tattiche, probabilmente mirate a siti militari nelle zone interne dell’Ucraina centrale e occidentale con l’obiettivo di smantellare la struttura di comando ucraina e cambiare radicalmente gli equilibri delle forze sul terreno. L’abituale modus operandi di Putin è fare ciò che nessuno si aspetta, ma in questo caso navighiamo in acque inesplorate e nessuno può avere certezze.

Prima che la guerra in Ucraina cambiasse il quadro, si era soliti indicare tra le ragioni del consenso a Putin il fatto che la sua stella sia emersa dopo la stagione travagliata dominata dalla figura di Eltsin che è stata accompagnata da una corruzione generalizzata e da un rapidissimo incremento delle disparità sociali. Eppure Putin fu scelto proprio da Eltsin, e corruzione e diseguaglianze non hanno fatto che crescere. Cosa ci sfugge?
In realtà Putin era – e credo che in misura significativa lo sia ancora – molto popolare in Russia perché ha portato stabilità dopo il caos degli anni di Eltsin: pensioni e salari sono pagati puntualmente e il tenore di vita è sostanzialmente più alto di quando Putin è salito al potere. Questo non significa negare le dimensioni della corruzione e le enormi disuguaglianze sociali, né l’aumento della repressione, in particolare negli ultimi quattro anni, che hanno reso la Russia di Putin un Paese sempre più dittatoriale. Da quando è stato rieletto per il suo quarto mandato nel 2018, e ancor di più negli ultimi sei o sette mesi, le ricadute negative si sono andate accumulando. Ma, soprattutto per i russi che vivono in piccoli centri di provincia o in campagna, la vita è ancora migliore rispetto a prima della sua ascesa al potere.

Già nel 2000, al suo arrivo al Cremlino, Putin adottò alcune decisioni che indicavano la via da seguire: reintrodusse la musica dell’inno sovietico come inno nazionale e la bandiera bianca, blu e rossa con l’aquila a due teste, il vessillo per-rivoluzionario, come bandiera nazionale. La Russia di oggi come erede dell’Urss e dello Zar?
Si tratta pur sempre del passato della Russia che è in effetti erede sia dell’Unione Sovietica che dell’impero dei Romanov. E, del resto, tutti i Paesi faticano a liberarsi dal proprio passato. Qualche esempio? In Gran Bretagna la scelta della Brexit è nata dalla nostalgia per un’aura di grandezza imperiale che si è conclusa più di sessant’anni fa. Mentre gli Stati Uniti non hanno ancora fatto i conti con l’eredità della schiavitù che si è conclusa ufficialmente oltre un secolo e mezzo fa. Perciò che la Russia cerchi di inserire il proprio passato in una narrazione coerente non mi sembra poi così sorprendente.

La traiettoria di Putin si è giocata sul piano interno come sui rapporti con l’Ovest. Ma davvero si può ipotizzare che l’uomo che per la prima volta dai tempi di Stalin, come lei spiega, ha dato materialmente l’ordine di eliminare un oppositore ed è responsabile di altri assassinii politici, avrebbe adottato una linea diversa se l’Occidente fosse stato più disponibili?
Putin ha ordinato l’omicidio di Litvinenko e il tentato omicidio di Naval’nyj, mentre ha coperto i responsabili degli omicidi di Politkovskaya e Nemtsov, opera dell’entourage del leader ceceno Kadyrov. Per quanto riguarda i rapporti con l’Occidente, in particolare gli americani pensavano che dopo il crollo dell’Urss la Russia avrebbe seguito i desideri di Washington. Così è seguito l’allargamento ad Est della Nato e la costruzione di uno scudo di difesa missilistica in Europa. Durante i suoi primi due mandati, Putin voleva un riavvicinamento con l’Occidente. Non è successo. Si può incolpare l’Occidente per questo, ma in realtà entrambe le parti sono responsabili dell’esito che ha assunto la forma di un nuovo conflitto.

Il suo libro fa pensare che per Putin ogni riferimento ideologico sia puramente strumentale. Questo vale anche per Ivan Il’in, il filosofo fascista dei «russi bianchi», tra gli intellettuali più citati a Mosca attualmente?
Il’in si dilettava con il fascismo negli anni tra le due guerre mondiali perché, come molti russi bianchi, vedeva Hitler e Mussolini come un baluardo contro il bolscevismo. Ma era essenzialmente un nazionalista russo, o forse dovrei dire un ultra-nazionalista. Effettivamente Putin strumentalizza tutto ciò che può rivelarsi utile per promuovere i suoi progetti. Questo è vero per la Chiesa ortodossa ed è vero per Il’in e altri pensatori russi del XIX e dell’inizio del XX secolo che ama citare. Costoro sostenevano, come fa lui oggi, la tesi secondo cui la Russia esprime dei propri valori separati e traccerà il proprio destino, diverso da quello dei Paesi occidentali.

Lei spiega come fin dalle presidenziali del 2018 la priorità per Putin fosse individuare il proprio successore e stabilizzare la Russia. L’invasione dell’Ucraina ha cambiato lo scenario e ora dall’esito della guerra dipende la sua stessa sorte. Cosa aspettarsi dal dopo-Putin?
Dopo la rielezione nel 2018 Putin sembrava prepararsi a una transizione politica, parte della quale lo avrebbe forse portato a rinunciare alla presidenza. E ha impostato le cose in modo tale che questa opzione fosse a sua disposizione. In questo senso, ai suoi occhi, l’invasione dell’Ucraina doveva portare in pochi giorni ad un esito favorevole a Mosca, rimpiazzando il governo Zelensky con un regime fantoccio in modo da chiudere il dossier e concentrarsi sull’ipotesi di transizione politica che aveva preparato nei quattro anni precedenti. Invece per lui è andato tutto storto ed ora c’è molta insoddisfazione nell’élite del Paese per il modo in cui è stata condotta la guerra. Detto questo, al momento la posizione di Putin sembra ancora sicura perché nel sistema che ha costruito è difficile vedere qualcuno, anche nell’ambiente del potere, che corra il rischio di cercare di rimuoverlo. Salvo eventi imprevedibili, è probabile che Putin rimanga al potere e che la guerra continui fino a quando una parte o l’altra non vada in crisi o vacilli il sostegno occidentale all’Ucraina. L’Ucraina, e l’Europa occidentale, possono aspettarsi un inverno rigido.