C’è un regista, l’Ismael (Mathieu Amalric) del titolo, che sta preparando un film sul fratello Ivan (Louis Garrel) diplomatico circondato da spie. C’è una donna, Sylvie (Charlotte Gaisnbourg), la compagna del regista, che lo ama e lo sostiene per salvarlo dai suoi fantasmi – «Voglio farti cadere la maschera, voglio rivelare il principe che è in te» gli sussurra prima di fare l’amore. E c’è un’altra donna, Carlotta (Marion Cotillard) che è la moglie del regista svanita vent’anni prima lasciando in un lutto senza soluzione, nemmeno una tomba, marito e padre, un ormai anziano regista ebreo molto ammirato (Làszlo Szabò) che Ismael considera il suo maestro. Poi un giorno Carlotta riappare come se non fosse accaduto nulla, alle sue domande urlate – «C’era un altro?» risponde che si sentiva pesante tra lui, isterico e narcisista e il padre ingombrante, lei che non legge, che non si reputa intelligente, e alla nuova donna astrofisica di Ismael sempre col libro in mano sorride ballando da sola.

Les fantomes d’Ismael, il nuovo film di Arnaud Desplechin, ha aperto ieri fuori concorso Cannes 70, in parallelo all’uscita nelle sale francesi, possono stare tranquilli i detrattori di Netflix e gli esercenti d’oltralpe, presenti anche nel consiglio d’amministrazione del festival che si sono scagliati contro la decisione del curatore artistico Thierry Frémaux di invitare in concorso due film (Okja di Bong Joon-Ho e The Meyerowitz Stories di Noah Baumbach) prodotti da Netflix che verranno lanciati direttamente sulla piattaforma al punto da convincerlo a dichiarare – con un comunicato ufficiale – esclusi dalla selezione a partire dal 2018 i film che non passeranno in sala. Il che naturalmente accantona una qualsiasi riflessione sullo stato attuale del cinema e della sua produzione per non dire di quanti sono i film che passano ai festival, Cannes compreso seppure in Francia la distribuzione è molto più ampia che da noi, avranno uscite sporadiche per pochi.

Non solo. Desplechin, che due anni fa col molto bello Trois souvenirs de ma jeunesse non era stato preso in concorso – andò alla Quinzaine – ha presentato la versione «corta» del film, quella appunto arrivata in quasi tutte le sale francesi, e non la lunga (2 ore e 10’) che circolerà solo in alcune sale parigine e poi in dvd. Ben strano per un festival di cinema non scegliere il directors’ cut, no?

Ma torniamo a Ismael e ai suoi fantasmi che poi sono un po’ (moltissimo) quelli del regista che nei suoi film distilla autofinzione in superbi piani di cinema, omaggi cinefili e frammenti imperfetti di vita storia dopo storia nei tic nevrotici e nelle spigolosità dei suoi personaggi, maschi e femmine che siano (pure se dal punti di vista «maschile») e nella loro lotta perenne con lo stare al mondo. Ismael il suo film non riesce a finirlo, scappa dal set dopo che la sua vita esplode col ritorno di Carlotta (Piano piano dolce Carlotta) – Cotillard nel tripudio di mossette e sorrisi soffusi di crudeltà che la macchina da presa di Desplechin esalta al massimo con la stessa compiaciuta cattiveria. L’incontro e l’inevitabile scontro tra donne – con l’uomo in mezzo – tra il fantasma di Vertigo. i suo misteri e la nostalgia dei vent’anni rimasti per sempre sospesi, e la nuova compagna con certa certezza Io ti salverò è solo uno degli aspetti di questo film il più hitchcockiano dei suoi.

Desplechin nel dossier stampa spiega che per raccontare questo film a un amico gli ha detto che aveva l’impressione di avere inventato una «pila di piatti di storie per fracassarli sullo schermo, e quando i piatti erano tutti rotti finalmente il filn era compiuto». E c’è tanto tantissimo infatti, un dedalo di fatti, di storie, di suggestioni, Joyce sempre Joyce e l’Ulisse – Bloom è il cognome di Carlotta, Dedalus d’Ivan – e agli altri suoi film. Non è però l’aspetto più importante come non lo sono i movimenti amorosi affidanti alla voce narrante di Sylvia. La questione fondamentale è per Desplechin ancora una volta come raccontare una storia scomponendone la struttura, in modo non lineare, avanti e indietro nel tempo, avanti e indietro nelle emozioni dei personaggi anche a costo di irritare, di peccare di eccessi non controllati.

Davanti a un quadro di Pollock Ismael sovreccitato vede la fine del suo film fino a confondersi nel suo stesso racconto e quasi a ammazzare nello slancio il produttore. E nel gioco di specchi col suo avatar Ismael, autoironico e sferzante Desplechin lascia balenare la sua vita, le sue riflessioni costanti, a cominciare dalla questione dell’ebraismo qui appena accennata, poi gli amori e la famiglia tutti fili tesi, in cerca di una forma che interroga se stessa, che respinge la semplice messa in scena di sé per invece scomporla e ricomporla accettandone i rischi in una diversa prospettiva.