Corti ma tangibili, i film animati di Pavel Koutský sono disseminati per tutta la programmazione del 33° Bergamo Film Meeting (7-15 marzo). Leggeri e dinamici, divertenti ma profondi, i lavori dell’animatore ceco permeano al gran completo il festival che gli dedica anche la mostra di disegni originali Frame to Frame (Sala alla Porta di S. Agostino, fino al 31 marzo). A contatto con gli storyboard e i fogli singoli, ripresi a «passo uno», ossia uno scatto per volta, si apprezza il paziente lavoro di costruzione artigianale del movimento simulato. Mentre su una parete sono proiettati a ciclo continuo i suoi corti più significativi (gustati appieno su grande schermo), si passeggia fra i disegni colorati allestiti nel gran salone caldo con travi a vista per farsi investire dalla vitalità sgargiante realizzata a matita. Sorridenti donne stralunate dalle forme generose e lunatici indomiti e strabordanti scorrazzano sotto i nostri sguardi divertiti, ma anche carri armati recanti ogni stemma e pose furiose testimoniano un immaginario di ardua congiunzione fra realtà e follia.
Spirito critico dall’umorismo amaro seppur dinamico, quello di Pavel Koutský (Praga, 1957) spicca nel panorama dell’animazione ceca, nella scia di maestri quali Jirí Trnka e Jan Švankmajer, per vivacità spettacolare e acume culturale. Dal 1993 insegna al dipartimento di animazione della prestigiosa FAMU (l’Accademia di Cinema, Televisione e Arti Applicate di Praga), dopo un percorso formativo e artistico iniziato all’animazione già a tredici anni, quando diventa membro del Cineclub ceco e realizza il suo primo esperimento. La linea del tempo di Pavel Koutský comprende il segmento che passa per due punti storici particolarmente significativi della sua Cecoslovacchia: il 1968 e il 1989. Bambino undicenne in grado di percepire almeno emozionalmente il vento nuovo della Primavera di Praga e la sua traumatica stroncatura con l’invasione dei carri armati russi nel 1968, e adulto consapevole della fine di un regime grigio che aveva sfregiato il volto umano del comunismo di Dubcek per crollare, infine, al seguito della caduta del Muro di Berlino nel 1989 con la Rivoluzione di Velluto. È un segmento storico che ha indubbiamente inciso nella sua vita personale e artistica, come in quella sociale e culturale dell’ambiente e del mondo che lo hanno finora circondato, ma che non ha impedito a tutto il resto di svilupparsi con la sua specificità personale fatta di diverse complementarietà. Questo può spiegare uno stile semplice e complesso a un tempo, immediato ma anche spiazzante, con una base umoristica immediata, a causa ed effetto ravvicinati. C’è spesso la genuinità delle comiche del cinema muto, dello slapstick a colpi incrociati, delle dinamiche dualistiche e duellanti fra gatto e topo, fra uomo e donna, fra individuo e individuo per le questioni più banali, ma riconoscibili perché annidate in ognuno di noi. Genuinità e «innocenza», che però si distacca da un’infantile ingenuità, per misurarsi anche con uno sguardo adulto e smaliziato, ironico e talvolta garbatamente cattivo. Ecco che dissemina qua e là, fra lazzi e fughe, citazioni colte di provenienza artistica e politica, esposizioni erotiche esplicite, accessi di follia pura destabilizzanti. È una vena giocosamente critica e metodicamente sconquassante che conserva anche nell’ultima fase quando il regime di nome comunista abdica in favore di uno consumista e il cittadino rimane oppresso da un sistema forse più impalpabile, ma non per questo meno asfissiante ed alienante. Alla fine resta una coscienza amara della condizione dell’individuo, seppur presentata con la leggerezza della barzelletta.
In Curriculum vitae (1986), Orso d’Oro per il miglior film d’animazione alla Berlinale 1987, la comicità conflittuale si esercita addirittura fra le lettere dell’alfabeto, dove la «y» e la «i» si contendono lo spazio vocalico a colpi martellanti, sparati, esplosivi ognuna secondo le prerogative della propria forma. Koutský esplicita una visione dialettica della Storia e della storia, intesa come sviluppo narrativo che si dipana fra tesi e antitesi. Più semplicemente però i contrasti sempre presenti sembrano scaturire dalla stessa natura delle cose e delle persone, esasperati quando inseriti in situazioni di compressione e stress. Così dal modulo omologato (e omologante) per curriculum, compilato a suon di scarabocchi nervosi da una mano dal vero accelerata, parte un crescendo caotico che passa per la scuola fino ai maggiori capisaldi della cultura e delle arti di ogni tipo: da Newton a Einstein, da Dürer, Leonardo, Goya, Rodin al cinema d’animazione da Disney a Dunning. Non dimentica però nemmeno il mare di tette generose in cui nuota allegramente il topastro protagonista, dato che Koutský ammette apertamente il suo interesse per l’erotismo crasso ed esplicito, e chiama alla festa i sette nani con tanto di Biancaneve languidamente allungata sulle spalle. La vena dissacrante e anche autoironica di Koutský abbraccia in simpatica sintesi tutto il suo percorso formativo, formale e sessuale, senza escludere il cinema d’animazione.
La mescolanza e perfetta contiguità fra animazione e live action è altro aspetto costante nell’opera di Koutský, che interviene spesso anche di persona nel film. Con Kavárna (Café, 1998) la conflittualità come molla soggiacente alle dinamiche di relazione raggiunge l’apice, senza tralasciare le componenti di erotismo, avidità, scatenata follia liberatoria. Il film apre con un interno di café (kavárna, in ceco) ripreso dal vero con diverse conversazioni in corso, a ogni tavolino la sua. Chi parla di affari, chi spettegola, chi corteggia con garbo, ma le parole non esprimono tutti i pensieri. Così la situazione si articola in tre episodi animati in cui Koutský ci svela i retropensieri e desideri inconfessabili e repressi che si celano dietro ai sorrisi di ciascun tavolo. I due uomini d’affari disegnati non esitano a farsi le scarpe l’un l’altro in un crescendo esasperato di fughe, inseguimenti, agguati distruttivi atti ad impossessarsi della reciproca valigetta colma di banconote. Nemmeno l’amore latente fra la giovane coppia di avventori del secondo tavolo ne esce bene: lui pensa unicamente a farci sesso e lei ci gioca come una gatta col topo, ricorrendo a tutte le sue generose armi di seduzione. Il quadretto «romantico» mette in scena con giocosità esasperata fino alla follia pura l’eterna guerra fra i sessi, dove ad avere la meglio è sempre lei. Così nell’inconscio animato lui si trasforma in orco assatanato che le strappa i vestiti di dosso e lei in formosa bambolona sexy: e l’inseguimento irrazionale può partire.
In Media (1999), Orso d’Argento ancora alla Berlinale, Koutský sviscera il sistema dei mezzi di comunicazione di massa, fra libertà e oppressione. Il protagonista infine si trova intralciato in mezzo ai mouse dei computer o è letteralmente inseguito dalla stampa, ma s’illude se crede di liberarsi dall’oppressione mediatica con il classico gesto dell’ombrello.