«Ad aprile capiremo. O va bene bene, o male male. Lo vediamo subito». Matteo Renzi stringe ancora il tempo della sua sfida al parlamento. Ha già messo di fatto la fiducia sul disegno di legge costituzionale approvato ieri dal Consiglio dei ministri, senza avere bisogno di metterla formalmente. Anzi, siamo ancora assai lontani da quel possibile passaggio nell’aula di palazzo Madama. Aprile è il mese decisivo, ma complice il calendario (pasqua e ponte del 25) la riforma del bicameralismo se va «bene bene» farà i suoi passi in commissione affari costituzionali, nulla di più. Per i voti veramente importanti bisognerà aspettare maggio e la corsa prima dello stop per le elezioni europee. Quella è la data entro la quale al segretario del Pd e presidente del Consiglio serve di potersi appuntare la coccarda al petto. La ministra Maria Elena Boschi è andata a chiederlo direttamente ai senatori della prima commissione, ieri: «Aiutateci ad approvare la riforma entro il 25 maggio».

Per farlo ha lasciato aperta la porta a piccole modifiche del testo, a patto che restino fermi i quattro punti sui quali il governo non intende cedere: il senato non deve essere elettivo, i senatori non devono percepire un’indennità, non devono votare la fiducia ai governi e nemmeno le leggi di bilancio. Le modifiche che Boschi lascia intendere di essere pronta ad accettare sono quelle che Renzi avrebbe già accolto nella fase di confronto con i rappresentanti delle regioni e dei comuni, e che ha però deciso di conservare per la mediazione che dovrà affrontare adesso. Tattica. Si tratta cioè di assegnare ad ogni regione un numero di rappresentanti proporzionale ai cittadini residenti: il testo uscito da palazzo Chigi prevede invece sei senatori per ogni regione, Valle d’Aosta (110mila abitanti) come Lombardia (10 milioni). L’altra modifica prevedibile ritoccherà al ribasso il numero di senatori nominabili per un settennato dal presidente della Repubblica, che oggi da solo può sceglierne 21, più di quelli scelti in rappresentanza dei 26 milioni di cittadini delle quattro regioni più popolose d’Italia, nota il senatore forzista Malan che parla di progetto «aberrante e strampalato». Da correggere.

Modifiche di questo livello, però, non sono sufficienti ad andare incontro alla richiesta che accomuna quasi tutti i contrari alla riforma, dalla minoranza del Pd ai centristi in ambasce, ai perplessi del Nuovo centrodestra alla linea dura di Forza Italia. Tutti questi chiedono l’elezione diretta, di tutta o di una parte almeno dell’assemblea. Il senatore del Pd Chiti, già ministro di Prodi con delega alle riforme, ha pronto un disegno di legge alternativo a quello del governo che prevede appunto l’elezione diretta di cento senatori in contemporanea alle elezioni regionali. Il progetto dimezza anche il numero dei deputati per venire incontro all’esigenza sulla quale Renzi più insiste: il risparmio delle indennità. Un altro progetto di legge ancora presenterà oggi Scelta civica, ma questa volta senza senatori eletti.
Renzi ha ripetuto ieri le sue intenzioni sufficientemente intimidatorie: «Se non si cambia che ne prendano un altro». È questo il modo in cui mette la fiducia sulla revisione costituzionale, anche senza chiederla formalmente. Annuncia dimissioni che assomigliano molto alla fine della legislatura: l’incubo del parlamento.

Sulla scorta del non brillante esempio del governo Letta, si prepara a chiedere la procedura d’urgenza per la legge costituzionale. I tempi della discussione saranno dimezzati, ma almeno due settimane di lavori in prima commissione saranno necessarie. Molto, quasi tutto dipende dalla presidenza di Anna Finocchiaro. Molta ruggine con Renzi che la attaccò per la vicenda della scorta all’Ikea chiudendole ogni chance per il Quirinale («miserabile», replicò lei). Ma il barometro dei rapporti tra il presidente del Consiglio e D’Alema e i dalemiani stretti – quorum Finocchiaro – volge decisamente al bello.

L’intesa più importante da preservare però è un’altra, quella con Berlusconi. Senza i 60 senatori di Forza Italia la riforma rischia tantissimo, può naufragare anche per colpa, o merito, di quei pochi senatori democratici che riusciranno alla fine a votare contro o ad astenersi (al senato è equivalente). La buona notizia per Renzi è che l’accordo sembra essere più solido delle sparate di Brunetta, che sono proseguite ieri, ed è estendibile anche alla Lega. L’ex Cavaliere in effetti ha poche alternative e i suoi giornali ieri non si distinguevano dal generale coro di lodi al velocissimo rottamatore. Che troppo rapido però non sarà, almeno dopo le elezioni europee. Infatti Renzi prevede un iter della riforma costituzionale lungo «un anno e poco più». Realistico, visti i quattro passaggi necessari. Ma Letta stava riuscendo a farcela in sei mesi appena. Poi Forza Italia, quella volta, cambiò idea.