“Vieni in Marina” il grande poster campeggia da giorni sulle piazze d’Italia , con due soldati, uno in alta uniforme, l’altro un assaltatore in tuta mimetica. A cura del ministero della difesa, adombra naturalmente la vicenda drammatica dei due marò. Aspettiamo la fiction, il film e gli inevitabili libri di memoria, fino alla candidatura elettorale del resto già promossa dalla destra italiana.
Il sentimento nazionale con la vicenda due marò è a livelli di bassezza mai raggiunti quanto a menzogne, ormai di stato. Per trasformarsi un una sorta di lutto collettivo. Ma non per Valentine Jalastine e Ajesh Pinku, i due pescatori indiani uccisi, perché si sa la vita di due pescatori, a qualsiasi latitudine appartengano, vale meno di zero. Perché, che i due lavoratori del mare indiani siano stati uccisi è incontrovertibile. Come il fatto che, dalle prime testimonianze rilasciate alle autorità di polizia del Kerala dagli stessi marò ora trattenuti in India, la pattuglia armata fino ai denti di scorta al mercantile Enrica Lexie, fece fuoco per avere visto movimenti di armi sul naviglio di pescatori. O quelle morti vanno attribuite ad un delitto passionale hindu?
Certo, anche noi siamo contro la lunga detenzione in attesa di giudizio, di chiunque e ovunque. Ma l’Italia è stata partecipe di tutti i ritardi della giustizia indiana. A volte ha chiesto con una parte del governo i rinvii mentre con l’altra protestava, com’è accaduto in questi giorni con le lamentele del ministro Mauro denunciate nella loro ambiguità perfino da Corriere della Sera. Senza dimenticare, a proposito di ritardi, la bella azione dell’ex ministro degli esteri Terzi che, contro la decisione presa congiuntamente con le autorità indiane, decise di non rimandare i due marò in licenza per votare alle politiche del 2013. Perché siamo restii ad ammettere quel che è accaduto? Perché emergerebbero le nostre responsabilità politiche, come ha provato a far intendere una settimana fa la stessa Bonino, quando ha messo in rilievo i limiti della legge voluta da Ignazio La Russa, primo firmatario ma votata da tutti, che autorizzò militari italiani ad essere usati come scorta privata sui mercantili commerciali. Ma ora il salto della quaglia è doppio. Perché ieri mattina in Parlamento, il ministro degli esteri Bonino ha schierato in difesa delle ragioni dell’Italia la Ue e addirittura la Nato, ricordando le convenzioni internazionali decise contro la pirateria, in parte volute anche dall’Onu, pur sorprendendosi dell’atteggiamento dell’Onu che, con Ban Ki-moon, insiste per una soluzione solo bilaterale, tra Italia e India. Il fatto è che la legge voluta da La Russa arrivò prima della Risoluzione Onu ma dopo la missione europea Atlanta, alla quale partecipa l’Italia, in vigore dal 2008 e autorizzata solo per le coste della Somalia. Il risultato fu che le scorte dell’esercito italiano sulle navi italiane private vennero effettuate senza il consenso degli stati coinvolti dalle operazioni. Come fa adesso l’Onu – che deve pure tenere conto che l’India è il primo paese fornitore di caschi blu per le missioni internazionali – a riconoscere l’azione armata italiana che ha “fucilato” i due pescatori in una zona, quella indiana del Kerala, dove la pirateria non c’è mai stata?
Come reagiremmo noi se su navi mercantili indiane fosse schierato l’esercito di Delhi in acque territorialmente ancora interessate alla nostra giurisdizione? E che iniziative prenderemmo se a rimanere uccisi fossero cittadini italiani presi nel tiro al piccione di una ipotetica e scellerata operazione anti-terrorismo? Quest’ultima domanda, ahimé, è retorica. Visto che per la strage di Ustica è stata scientemente impedita la verità, per il Cermis e quelle vite troncate dai divertenti addestramenti dei piloti americani alla fine non abbiamo ottenuto giustizia e quei colpevoli sono stati assolti in America, e visto che per il caso del soldato Lozano, che uccise Calipari e ferì la nostra Giuliana Sgrena è valso il principio dell’immunità dei militari statunitensi. Né risulta che le nefandezze compiute dai nostri soldati “brava gente”, in Iraq, Afghanistan, Mogadiscio e in Somalia siano mai state punite. E’ ora di comprendere che sempre le iniziative militari anti-terrorismo sedicenti “umanitarie” sono diventate criminali, con l’uccisione spesso di tanti civili innocenti.
Noi, che in assoluto siamo contrari alla pena di morte, leggiamo la richiesta di applicazione della legge indiana sul terrorismo da parte di Delhi, che esclude ripetutamente la possibilità della pena di morte, al contrario come un tentativo di derubricare la possibile incriminazione, ben più grave, per assassinio tout court. Per altro ogni ritardo indiano a definire finora un’imputazione precisa, pure possibile alla luce dei fatti, deriva probabilmente dalla necessità di fermare ogni strumentalizzazione del nazionalismo interno – folle come ogni nazionalismo – che chiede la condanna a morte, e certo per impedire una messa in discussione del ruolo politico dell’italiana Sonia Gandhi. Insomma, è grazie a questa anomalia indo-italiana se finora non c’è stato un pronunciamento definitivo, non il contrario.
Concluderemmo con una considerazione. Se la gran parte dei parlamentari che dominano la Camera dei deputati (da Forza Italia, al Pd fino al M5Stelle missionari in terra indiana) hanno davvero tanto a cuore la sorte dei soldati italiani, perché non utilizzano la stessa veemente passione nazionale per denunciare la sorte delle migliaia di militari italiani, e fra loro tanti marò del Battaglione San Marco, condannati a morte lenta dalle guerre “umanitarie” dove li abbiamo inviati inconsapevoli dei rischi derivati dall’uso di armi all’uranio impoverito che ha ucciso tanti soldati ma anche tanti civili dei quali non sapremo mai nulla? Altro che due marò minacciati di ipotetica condanna a morte.