Sono passati due anni da quella notte del 14 marzo 2018 quando a Rio de Janeiro si consumò il feroce assassinio politico di Marielle Franco e del suo assistente Anderson Gomes. Il ricordo di Marielle è ancora più lacerante: questo anniversario coincide con il più grave attacco alla democrazia dalla fine della dittatura militare.

La manifestazione indetta dall’ultradestra brasiliana per il 15 marzo prendeva di mira il Congresso e il Supremo tribunale federale, visti come ingombranti istituzioni e accusati di ostacolare i progetti di Bolsonaro. Un’adunata delle forze più reazionarie del paese che l’ex capitano aveva mostrato di gradire, rinviata però dall’emergenza coronavirus.

Qualche giorno fa il generale Augusto Heleno, ministro per la Sicurezza istituzionale (Gsi), durante una conversazione con altri rappresentanti del governo, era arrivato ad affermare: «Non accettiamo ricatti dai parlamentari, che si fottano!».

Ma c’è anche una notizia che allevia il dolore di tutti coloro che invocano giustizia per Marielle: il giudice che si sta occupando delle indagini ha rinviato a giudizio davanti a una giuria popolare i due miliziani accusati del crimine.

Si tratta di Ronnie Lesa e Fabricio Queiroz, due ex appartenenti alla polizia militare. Il primo è accusato di aver sparato i 13 colpi di arma da fuoco che uccisero Marielle e Anderson, mentre il secondo avrebbe guidato l’auto da cui sono partiti i colpi. In questi due anni le indagini hanno incontrato difficoltà di ogni tipo, con depistaggi e condizionamenti politici.

Solo la forte pressione delle associazioni brasiliane e internazionali per la difesa dei diritti umani ha costretto le autorità a impegnarsi nella ricerca dei colpevoli. Le indagini hanno fatto emergere i legami che gli indagati hanno avuto con la famiglia Bolsonaro.

Ronnie Lessa abitava nello stesso condominio di Jair Bolsonaro e aveva un ruolo di primo piano all’interno del gruppo di miliziani che imperversano sul territorio. Dieci anni fa aveva subito un attentato riconducibile alla lotta tra le fazioni criminali.

Fabricio Queiroz, invece, era stato espulso dalla polizia militare nel 2016 per aver svolto attività di sicurezza illegale per una casa di gioco d’azzardo. Assunto come autista da Flavio Bolsonaro, primogenito del presidente, risulta anche indagato per operazioni di riciclaggio di denaro che coinvolgono lo stesso Flavio.

Secondo il pubblico ministero, Lessa avrebbe ricevuto Quieroz nella sua casa quattro ore prima dell’azione omicida, per poi spostarsi insieme con un’auto camuffata, attendere l’uscita di Marielle da una riunione e compiere il crimine.

Manca quello che poteva essere il personaggio chiave per fare piena luce sull’assassinio di Marielle: Adriano Nobrega, ex poliziotto militare, ricercato per oltre un anno e ucciso a fine gennaio nello Stato di Bahia durante un’operazione di polizia dai contorni oscuri. Nobrega era a capo di un’organizzazione di miliziani denominata «Escritorio do crime», che controllava con la violenza diverse aree della città di Rio.

Marielle aveva più volte denunciato il ruolo criminale svolto da questi gruppi paramilitari. Flavio Bolsonaro lo conosceva bene per avergli conferito personalmente, nel 2003 e 2005, due alte onorificenze nell’Assemblea legislativa di Rio e per avere assunto la madre e la moglie come funzionarie nel suo ufficio di deputato statale.

Un intreccio di relazioni e di frequentazioni che non consentono sonni tranquilli alla famiglia Bolsonaro. Le numerose e partecipate manifestazioni che si sono svolte in Brasile nella giornata della donna hanno messo al centro il ricordo di Marielle e il suo impegno per la difesa dei diritti umani, contro le ingiustizie sociali e le discriminazioni. E Bolsonaro è stato chiamato in causa per l’aumento della violenza sulle donne che si è registrata nel paese nell’ultimo anno.

Sono state denunciate le sue prese di posizioni razziste e misogine che hanno prodotto un arretramento culturale che va a incidere sui comportamenti sociali. Erano state proprio le donne, nel ricordo di Marielle, a denunciare per prime i pericoli che la società brasiliana avrebbe corso se l’ex capitano fosse diventato presidente.