In Africa tra gli italiani ancora sotto sequestro ci sono padre Pier Luigi Maccalli e Nicola Chiacchio. I due italiani erano stati rapiti in momenti diversi: il missionario il 17 settembre 2018 in Niger, mentre Nicola Chiacchio era stato rapito alcuni mesi fa in Mali. Entrambi sono comparsi in un video lo scorso 6 aprile.

Nel filmato fatto arrivare in Niger alla redazione del giornale on-line Air Info Agadez si vedono i due connazionali dichiarare il loro nome, nazionalità seguite da: «Oggi è il 24 marzo». Le differenze rispetto al rapimento di Silvia Romano sono l’avere reso pubblico il filmato e un terreno forse ancora più complicato per allacciare contatti. Forse per questo i rapitori si sarebbero resi «palesi».

I due sarebbero in mano a uno dei gruppi che si muovono nel grande Sahel, il loro Stato, non Mali, Burkina Faso, Niger. Per rendersene conto si può leggere l’attenta analisi che fanno i ricercatori Marco Di Liddo, Fiamma Terenghi, Andrea Cerasuolo e Valentina Piol nell’interessante rapporto sulla criminalità organizzata in questa regione.

Si è creato in questa fascia territoriale, scrivono, un humus favorevole «per la nascita e la sovrapposizione tra organizzazioni jihadiste, gruppi indipendentisti e organizzazioni criminali: si muovono con gli stessi metodi e attingono ai mercati illeciti per finanziarsi».

Per la popolazione appaiono gli unici enti in grado di rispondere ai problemi e ai bisogni della gente sia come difesa da uno Stato oppressivo, sia in termini di reddito: ad esempio fino a poco tempo fa interi villaggi e città avevano sviluppato un’economia centrata sul trasporto, l’alloggiamento e la «ristorazione» dei migranti.

Lo Stato in questa regione è contemporaneamente assente, per quanto riguarda l’erogazione di servizi, e oppressivo perché chiede senza dare.

Questo, insieme alle condizioni di povertà, alla diseguaglianza sociale, agli alti livelli di disoccupazione giovanile, a un sistema giudiziario debole, corruzione, proliferazione incontrollata di armi, conflitti sociali e guerre civili ha favorito la nascita e la persistenza in Africa occidentale di gruppi criminali organizzati.

Una situazione che deriva sia dalle criticità prodotte dalla dominazione coloniale (mancanza di rappresentatività politica delle popolazioni locali, sfruttamento predatorio delle risorse naturali, mancata promozione di modelli di sviluppo economico inclusivi) sia da alcune persistenti difficoltà a cui gli Stati sono soggetti (come alti tassi di corruzione e nepotismo).

A queste dinamiche si sono aggiunti, nel corso della seconda metà del XX secolo, come scrivono i ricercatori, «nuovi motivi di lacerazione sociale e politica come i conflitti etnici, le guerre civili e le istanze secessioniste. In questo senso, l’instabilità e la distruzione del tessuto economico di regioni già fragili hanno contribuito a far crescere il ventaglio di opportunità delle reti criminali, soprattutto per quanto riguarda la fornitura di beni e servizi per la popolazione (mercato nero, contrabbando, mercenariato)».

Tutte carenze che hanno favorito la crescita della criminalità comune e organizzata che, a sua volta, beneficia di condizioni di instabilità. La criminalità organizzata è sia un ostacolo allo sviluppo che un «attore chiave nel promuovere e sostenere crisi umanitarie nelle aree di conflitto, dal momento che trae profitto da contesti caratterizzati da instabilità e caos».

Il Sahel è un contesto in cui si è creata una spirale negativa dove la debolezza degli Stati e la povertà creano le basi per il proliferare della criminalità che a sua volta indebolisce le istituzioni che dovrebbero combatterla.

Se lo Stato non esiste chi ti protegge è l’etnia, ma se questa viene inglobata o infiltrata da elementi criminali, si crea un’identificazione pericolosissima che rende queste organizzazioni un vero anti-Stato, anzi la vera istituzione di un territorio.

È all’interno di queste aree di instabilità che si è sviluppato il primo, grande business illegale del continente: il traffico d’armi, un virus che una volta uscito dalla fabbrica non sai dove e chi colpirà. Ora di fronte a questo controllo esterno allo Stato occorrerebbe ripartire dalle domande fondamentali.

Che cos’è uno Stato? Perché dovrei farne parte? Posso farne a meno? Uno Stato si basa sul consenso ed è questa la sfida che si trovano di fronte i paesi del Sahel: trovare il consenso dei loro concittadini.