Con la mappa del rischio oggi quasi tutta gialla, molti esperti ora si chiedono se la riapertura delle attività non sia stata imprudente, visto che le misure restrittive non sono riuscite ad abbattere radicalmente il numero di casi positivi e di decessi. «Siamo sicuri che il giallo è proprio il colore giusto?», si chiede in una nota l’Associazione Italiana di Epidemiologia (Aie).

L’indice di trasmissione Rt di 0,84 elaborato dall’Istituto Superiore di Sanità, secondo l’Associazione, potrebbe non rispecchiare la situazione reale del paese a causa del ritardo di 1-2 settimane con cui viene calcolato. Perciò, l’Aie propone di affiancarlo con un altro parametro, denominato «indice di replicazione diagnostica» e adottato anche dall’istituto Robert Koch, l’equivalente tedesco dell’Iss. Non sarebbe una rivoluzione: entrambi gli indicatori servono a stimare se il numero di casi sia in espansione o in contrazione monitorando il rapporto dell’incidenza dei casi rilevati in una settimana e quelli della settimana precedente. Ma la diversa tempistica può condurre a valutazioni diverse.

L’indice Rt «ufficiale», infatti, stima l’evoluzione della pandemia prendendo in considerazione i soli casi positivi sintomatici riferiti alla data di inizio dei sintomi. È un sistema collaudato e meno soggetto a variazioni “spurie” derivanti dalla mutevole capacità delle regioni di tracciare i casi asintomatici. Oggi oltre la metà dei casi rilevati risultano asintomatici, mentre in primavera non c’erano test a sufficienza nemmeno per individuare tutti i malati gravi. Però arriva necessariamente in ritardo, poiché la datazione dei casi si affida a un flusso di dati affidato alle regioni e separato da quello della Protezione Civile. In più, come ha dimostrato la vicenda dei numeri della Lombardia, la condizione di sintomatico o asintomatico è spesso rivalutata a posteriori e questo richiede un tempo di «consolidamento del dato», come lo chiamano gli esperti.

Di contro, la proposta dell’Aie di valutare tutti i casi notificati ha lo svantaggio di risentire delle variazioni dei tamponi. In compenso, fornirebbe indicazioni in tempo reale rispetto al bollettino quotidiano. «La minore qualità dei dati – spiega Salvo Scondotto, presidente dell’Aie – è compensata da una maggiore tempestività delle misure, perché si terrebbe conto dei trend degli ultimi giorni».

Non è una disputa riservata agli esperti perché può avere notevoli conseguenze sulle misure di contenimento che riguardano tutti. Scondotto lo illustra con un esempio di attualità: «Sia l’incidenza media giornaliera dell’ultima settimana (24-30 gennaio) sia il rapporto tra questa e l’incidenza della settimana precedente non sembrano concordare con le decisioni del governo», spiega. «13 regioni hanno questo indice di replicazione diagnostica superiore ad uno e quasi tutte le rimanenti, tranne Valle d’Aosta e Sicilia, lo hanno comunque in crescita». Se il governo avesse adottato questo indice la mappa dell’Italia sarebbe oggi meno gialla, e i prossimi giorni diranno se sia una scelta azzeccata.

Ma non si tratta nemmeno dell’ennesima polemica strumentale. «Abbiamo grande stima per gli epidemiologi dell’Iss, di riconosciuto valore nazionale e internazionale», ci tiene a precisare Scondotto. «Come epidemiologi impegnati sul territorio (Scondotto coordina l’unità di crisi della Sicilia, ndr) abbiamo collaborato all’elaborazione degli indicatori del governo». «Le proposte costruttive sono sempre gradite» riconosce Stefano Merler, che per conto dell’Iss calcola l’indice Rt alla Fondazione Bruno Kessler di Trento.

«Credo però che la maggiore tempestività andrebbe valutata attentamente: la notifica della Protezione civile arriva alcuni giorni dopo il tampone, spesso a valle dei sintomi e dunque in un tempo successivo al contagio: anche quello è un segnale in ritardo», spiega. «In più, alla qualità del dato non si può rinunciare facilmente, perché Rt permette di stimare altri indicatori sanitari importanti come il numero delle vittime e l’occupazione di area medica e delle terapie intensive».