La guerra senza volto dei droni in Pakistan uccide almeno un civile ogni cinque guerriglieri. Per la prima volta un documento classificato pubblicato ieri sul web getta luce su un modo di combattere la guerra ai jihadisti tenuto sempre rigidamente segreto, È quindi probabilmente vicino alla realtà il bilancio che emerge su un segmento della «guerra sporca» condotta con aerei senza pilota, cuore di una strategia iniziata con l’Amministrazione Bush ma diventata la forma preferita anche da Obama per combattere a distanza la battaglia a qaedisti e talebani in Pakistan.
A rivelare le cifre – 746 persone uccise da 75 azioni tra il 2006 e il 2009 – è un documento intitolato Details of Attacks by Nato Forces/Predators in FATA, preparato dall’ufficio del «Political Agent» di stanza a Wana, la capitale del Waziristan del Sud, area ritenuta uno dei santuari per eccellenza dei combattenti islamisti. Il documento, pubblicato ieri dal Bureau of investigative Journalism sul suo sito web, rivela anche che almeno 147 vittime sarebbero civili innocenti e tra questi, in particolare ci sono 94 bambini.
Quello che è di fatto il primo documento ufficiale sulla vicenda conferma quanto già si sapeva ma fornisce un’ulteriore conferma su quelle che sinora erano state ipotesi ricavate da informazioni raccolte soprattutto dalla stampa. Cifre che contraddicono la versione americana, per altro non ufficiale, e cioè che la percentuale di vittime civili sia bassissima: sarebbero «solo» 50 su 2mila – come rivelò una gola profonda nel 2011 al New York Times – gli innocenti uccisi dai raid. Il documento dà conto anche di operazioni Nato, ma si tratta solo di cinque casi. Tutto il resto sarebbe da raid americani.
Il rapporto riservato di 12 pagine, che si può leggere integralmente sul sito www.thebureauinvestigates.com, è frutto del lavoro del funzionari al servizio del «Political Agent» di Wana, l’«intermediario» che in ognuna delle sette aree tribali (Fata) al confine con l’Afghanistan funge da catena di trasmissione tra Islamabad e una zona del Pakistan che gode di larga autonomia. L’ufficio si serve di agenti noti col termine di tehsildars e naibs che raccolgono informazioni sul terreno, integrate da quelle fornite dagli agenti della «polizia tribale» – noti come khassadar – o da confidenti a libro paga nei vari villaggi. Il documento, che il Bureau dice di aver ricevuto da tre differenti fonti, è particolarmente importante perché getta luce su un capitolo tenuto rigorosamente segreto da Usa e Pakistan, tanto che il parlamento di Islamabad non avrebbe mai ricevuto alcuna stima ufficiale su vittime civili.
Nel marzo scorso lo special rapporteur delle Nazioni unite Ben Emmerson fornì a un bilancio di almeno 330 raid dal 2004 con la conseguente uccisione di circa 2.200 persone, tra cui un numero variabile tra 400 e 600 vittime civili oltre ad altre 600 che avevano riportato gravi ferite (tra l’altro il suo rapporto diceva anche che le vittime del terrorismo erano state oltre 40mila in Pakistan, che almeno 7mila soldati pachistani avevano pagato con la vita e che questo decennio di guerra interna era costato circa 70 miliardi!). Il procuratore generale dell’Alta corte di Peshawar, Dost Muhammad Khan, è andato più a fondo gestendo una causa civile promossa dalla «Foundation for Fundamental Rights» contro la Cia: nella sentenza dell’11 aprile 2013 si dice che 896 civili sono stati uccisi tra il 2007 e il 2012 nel Nord Waziristan, con ulteriori 533 morti civili nel Waziristan del Sud. Il documento di Wana rende pubblico un altro importante tassello.

* Lettera22