Un’altra soglia è stata sfondata, e sempre in peggio. Adesso la disoccupazione è al 13%, il dato peggiore dal 1977: l’aggiornamento viene dall’Istat, dati di febbraio. Allarmante anche l’indice giovanile (15-24 anni): si attesta al 42,3%, pur subendo una lievissima flessione (-0,1%) rispetto al mese di gennaio.

Ma ovviamente questo pur bassissimo «miglioramento» non attenua la drammaticità del trend sul lungo termine: la disoccupazione giovanile è infatti aumentata di ben il 3,6% rispetto al febbraio 2013, mentre di ben il 9% si è incrementato il dato generale (arrivando appunto al 13%).

Le persone in cerca di lavoro, nel nostro Paese, sono 3 milioni e 307 mila, in aumento dello 0,2% rispetto a gennaio (+8 mila) e appunto del 9% rispetto a un anno prima (+272 mila). Mentre, se restringiamo l’area solo ai più giovani, ne abbiamo 678 mila.

Dati che arrivano proprio nel giorno in cui Matteo Renzi visita la Gran Bretagna e il suo collega premier Cameron, confrontando le sue ricette con quelle degli inglesi.Dati che il presidente del consiglio definisce «sconvolgenti»: «Si sono persi mille posti di lavoro al giorno», nota.

Nell’area euro la disoccupazione è abbastanza più bassa: all’11,9%, ed è stabile, segnala Eurostat. Il nostro dato stona parecchio rispetto a quello tedesco (al 7,1%, peraltro in discesa) e soprattutto la dinamica è tra le più drammatiche, visto che peggio di noi fanno solo Grecia e Cipro. Quest’ultima è infatti passata dal 14,7% al 16,7%, mentre la Grecia dal 26,3% al 27,5%.

Anche il dato giovanile europeo risulta in calo: nei 18 Paesi dell’Eurozona, l’indice dei 15-24 enni è passato dal 23,6% al 23,5% (in Italia dal 42,4% al 42,3%). Il nostro Paese resta comunque nella Ue quello messo peggio dopo la Spagna, dove gli under 25 senza lavoro sono passati dal 54,2% al 53,6%. Nell’insieme dei 28 Paesi della Ue, la disoccupazione giovanile a febbraio si è attestata al 22,9% contro il 23% di gennaio.

Ma l’obiettivo di Matteo Renzi, che qualche giorno fa ha annunciato di voler riportare il dato sotto il 10% entro la fine della legislatura, è di agevole realizzazione? Qualche calcolo lo fornisce l’Istat.

Una riduzione della disoccupazione che ne porti il tasso sotto il 10% richiederebbe un calo di almeno 780 mila disoccupati. Attualmente il tasso del 13% vede 3,3 milioni di disoccupati a fronte dei 25,5 milioni di persone considerate all’interno del mondo delle «forze del lavoro». Per scendere al 9,9%, cristallizzando per comodità il valore delle «forze del lavoro», significherebbe fermare i disoccupati a circa 2 milioni 520 mila, con un calo quindi del 24%.

Una cifra sempre piuttosto alta, ma invertire il trend in modo così deciso, dopo anni di crisi e di emorragie infinite, sarebbe già un sogno: va ricordato tra l’altro che qualche giorno fa il ministro del Lavoro Giuliano Poletti aveva annunciato che il 2014 sarà «ancora un anno di sofferenza», perché «di transizione». Quindi, il governo spera evidentemente di invertire il trend a partire dal 2015, e non prima.

Tornare al 10%, significherebbe annullare (sul piano statistico) ben due anni di crisi: per trovare un tasso di disoccupazione a quei livelli bisogna risalire infatti al gennaio 2012. Allora si era toccato il 9,5%, ma già si era balzati al 10% nel mese successivo. Le «forze lavoro» ammontavano a 25,4 milioni e i disoccupati superavano di poco i 2,4 milioni.

Volendo raggiungere il target entro la fine dell’anno – ipotizzando una corsa certo quasi impossibile – a partire da maggio occorrerebbe ridurre l’esercito dei senza lavoro di circa 100 mila unità al mese. Un obiettivo troppo alto, forse, anche per l’iper attivo presidente Renzi.