Peter Hartz consigliere dell’Eliseo? La presidenza ha smentito ieri la notizia pubblicata su un quotidiano regionale tedesco (Saarbrücker Zietung), ma ammette di averlo incontrato. Peter Hartz è l’ex direttore delle risorse umane di Volkswagen, consigliere del cancelliere Gerhard Schröder dal 2002 al 2005, padre delle riforme del lavoro in Germania (Hartz I, II, III e IV), accusato di essere il responsabile dell’espansione dei working poors, avendo aperto la strada ai cosiddetti «mini-jobs» sottopagati, dopo aver ridotto l’indennità di disoccupazione da 32 a 12 mesi (18 per i senior), periodo dopo il quale il disoccupato entra nel dispositivo dell’aiuto sociale, a 382 euro al mese, cifra che diminuisce se il lavoratore non accetta l’eventuale offerta di lavoro, anche al di sotto della sua qualifica.

Mentre persino a Davos qualcuno si è preoccupato del crescente divario tra ricchi e poveri, la Francia sembra avviarsi verso una dolorosa riforma del lavoro di stampo liberista. François Hollande, già in difficoltà per il Gayetgate, deve far fronte allo scacco sulla disoccupazione: aveva promesso che avrebbe «invertito la curva della disoccupazione» entro fine anno, ma le cifre di dicembre, diffuse lunedì, rivelano un aumento del numero dei senza lavoro nel 2013. Ci sono 3,3 milioni di disoccupati in Francia, 117.800 in più rispetto al 2012, più di 5 milioni iscritti al Pôle Emploi (collocamento) e le chiusure di siti di produzione continuano a moltiplicarsi. Al massimo, si può parlare di rallentamento della crescita della disoccupazione.

Hollande, eletto presidente, aveva annullato la riduzione dei contributi decisa da Sarkozy, ma dopo sei mesi ha cominciato una lunga marcia indietro, che lo ha portato, a metà gennaio, a proporre un «patto di responsabilità» al padronato, con 30 miliardi complessivi di riduzione di contributi, con l’obiettivo di far diminuire il costo del lavoro. Hollande «social-democratico» si è convertito alla supply side economics, dopo aver difeso una politica «della domanda».

Dopo aver tentato la strada delle assunzioni «sovvenzionate» per i giovani (che hanno fatto diminuire in effetti la disoccupazione di chi ha meno di 25 anni, 4 mila in meno, anche se il tasso resta elevato, al 24,5%), dopo il semi-fallimento dei «contratti di generazione» (assunzione di un giovane e mantenimento di un senior nell’impresa, con sgravi di contributi), adesso Hollande fa l’elogio dell’impresa: solo il settore privato può creare posti di lavoro, ha detto il presidente, e combattere la disoccupazione. I deficit pubblici, difatti, impediscono un rilancio della spesa, mentre il padronato ripete che in Francia ci sono circa 300 mila posti di lavoro che non trovano candidati (soprattutto nel campo alberghiero o in settori con orari e condizioni difficili).

Smentendo di aver preso Hartz come «consigliere», Hollande vorrebbe far passare il messaggio che la Francia non seguirà la Germania nello smantellamento progressivo dei diritti del lavoro e dei disoccupati. Eppure, per il ministro del lavoro, Michel Sapin, «ascoltare Hartz, parlare con lui, guardare le sue esperienze, è il minimo». Ma Hollande ha ormai il margine di manovra per poter conservare le protezioni ancora esistenti? Nella conferenza stampa del 14 gennaio, il presidente ha ventilato l’ipotesi di sottrarre il finanziamento degli assegni familiari dai contributi delle imprese (ma non ha detto chi pagherà al loro posto, promettendo al tempo stesso di non aumentate le tasse). La promessa del primo ministro, Jean-Marc Ayrault, di rivedere tutto il dispositivo fiscale, è già stata annacquata da Hollande: in altri termini, molto difficilmente si arriverà a un sistema progressivo che coinvolga tutti i tipi di reddito (salari del privato ma anche del pubblico, pensioni, rendite finanziarie e patrimoniali). L’importazione del metodo Hartz diventa così una minaccia sempre più concreta.