Se gli zombi sono diventati uno spauracchio universale lo si deve soprattutto a George A. Romero. Prima di lui c’erano solo riti voodoo e cadaveri catatonici, ma, grazie a La Notte dei morti viventi, in un bianco e nero rosso sangue, nel 1968, il mito prese forma.

Sul piano videoludico, fu invece Shinji Mikami a dare una nuova linfa vitale agli zombi con Resident Evil, un gioco capace di terrorizzare come mai prima i giocatori.

Dal quel lontano 1996 sono passati però 33 anni: quali sono stati in questo lasso di tempo i migliori giochi dedicati ai morti viventi? Stilare una classifica definitiva è impossibile, ma ci abbiamo provato con una hit parade personalissima.

  • Left 4 Dead (Valve Corporation, 2008). L’esperienza di gioco, a patto di provarlo in multiplayer, è incredibile. Uscito per la prima Xbox, Left 4 dead ci calava in piena apocalisse zombi, nella declinazione alla Danny Boyle, con i cadaveri (ma non solo) velocissimi, soprattutto di notte.

  • Zombi Tsunami (Mobigame, 2012). I più storceranno il naso trattandosi di un gioco per cellulare, ma basta provarlo pochi secondi per esserne catturati. Trama ridotta all’osso, 2D a scorrimento, un’avventura schizofrenica nella quale siamo uno zombi mangiatore di cervelli che deve correre sempre più veloce per non soccombere ai nemici, alieni compresi. Divertente e ansiogeno, può creare dipendenza.

  • DayZ (Bohemia Interactive Studio, 2013). Nato come mod horror per ArmA II, sparatutto in salsa Europa dell’Est con visuale in prima persona. Visto che i veri nemici non sono gli zombi, ma gli altri giocatori, giocarci ti fa riflettere sulla natura umana.

  • Call of the Dead (Treyarch, 2011). Uno dei piatti forti dei Call of Duty è proprio la modalità cadaveri affamati, e qui siamo davanti all’espansione migliore di sempre, quella presente in Black Ops, il Call of The dead appunto. Ci troviamo dentro ad un film dove i nostri personaggi hanno il volto della Sarah Michelle Gellar di Buffy e del Robert Englund di Nightmare, uniti per combattere il boss finale, nientepopodimeno che George A. Romero. Mitico.

  • Dead Island (Techland, 2011). Non un gioco, ma una vera vacanza nell’orrore, rilassante, spensierata e raccapricciante. Siamo catapultati sull’immensa isola di Papua Nuova Guinea, grande oltre 2.500 km quadrati e con ben 4 personaggi giocabili, compreso il rapper Sam B, autore della bellissima Who do You Voodoo, Bitch?, da scaricare ed ascoltare nelle vere gite al mare.

  • Dead rising 2 (Blue Castle Games/Capcom, 2010). Il primo era un buon gioco, ma il secondo ancora meglio: più grande, più folle, più tutto. Immaginatevi di essere all’interno di Zombi di George A. Romero con tanto di supermercato e morti viventi cannibali, dove però il divertimento non è sfuggire ai mostri ma trovare nuovi modi creativi per farli fuori.

  • Evil Within 2 (Tango Gameworks/Bethesda, 2017). Già dal trailer lirico, intenso e virato in un gelido bianco, il gioco si presentava come un capolavoro, ma solo col pad in mano diventava un’esperienza terrorizzante come poche. Un gioco, molto Mikami senza esserci Mikami alla regia, che purtroppo fu un flop ingiusto.

  • Days gone (SIE Bend Studio/Sony Interactive Entertainment, 2019). Quello che sulla carta era la risposta senza fantasia a Last of Us, si è rivelato un gioco potente, commovente e con una colonna sonora da urlo, una vera esperienza emozionale, pari solo, come portata, al capolavoro Rockstar Red Dead redemption 2.

  • Last of Us (Naughty Dog/Sony Interactive Entertainment, 2011). Last of Us è uno dei picchi narrativi ed emotivi dalla storia dei videogames, un gioiello a tutt’oggi, a distanza di 6 anni, ancora imbattuto nel survival horror.

  • Resident Evil 2 (Capcom, 1998). Sul podio però non poteva esserci che il re dei giochi sugli zombi, sua maestà, per dirla alla giapponese, Biohazard 2. Se il primo era un ottimo gioco, questo è eccelso: più vasto, più complesso, con una storia che si dipana in due avventure che si incrociano senza mai toccarsi. Nel 2019 il remake ci ha fatto ricordare quanto la Capcom e Mikami fossero grandi, ma è solo con questo titolo, pixel compresi, che si può comprendere cosa sia realmente la paura in un videogioco.