All’inizio ci furono le letture in villeggiatura, da Dickens a Dostoevskij, da Carroll a Brönte, insieme a miriadi di film. Poi arrivarono le avventure in compagnia di Viviana e Mariarosa nei diari che sua figlia Martina dice di aver letto da piccola come fossero dei romanzi a puntate. Pagine in cui Donatella Ziliotto, classe 1932, la più grande editor per ragazzi nonché a sua volta scrittrice (nel 1958 con la collana Il Martin Pescatore per Vallecchi fece conoscere in Italia Tove Jansson e Michael Ende, poi diresse felicemente Gl’Istrici per Salani) racconta di sé con quel tono smaliziato e favolistico che pare accompagnasse anche i gesti della sua quotidianità.

Pensa, giornalino! di Donatella Ziliotto (Bompiani, pp. 258, euro 15, corredato dai disegni dell’autrice) ha come nume tutelare il Gian Burrasca di Vamba, mentre sullo sfondo esplode la follia bellica. «Ho pensato – dice la ragazzina alle prese con le sue confessioni – , dopo la guerra, di prendere un’isola in affitto per un mese». Per ritirarsi lì con le sue amichette, in una specie di territorio anarchico, allergico alle regole e agli impazzimenti degli adulti, stretti in una morsa mortifera. Meglio vivere in mezzo a lucciole e lumache, canarini che bussano alla finestra, oppure a cani che in sogno vengono lustrati. Intanto, Donatella scrive al direttore del Corriere dei Piccoli per proporre le sue storie. Ha solo nove anni.
Via via che cresce, Ziliotto affronta i problemi della scuola, descrive i personaggi che attraversano la sua vita e si fa consapevole della cupezza dei tempi. «I nostri fondi di famiglia vanno maluccio perché in quest’epoca, papà non trova lezioni».

Nonostante ormai la guerra sia una protagonista assoluta, in casa non si perde l’abitudine di leggere. «Di sera, io papà e mamma leggiamo David Copperfield di Dickens. Io l’avevo già letto e m’era piaciuto proprio moltissimo! Adesso poi che lo legge papà così bene, è ancora più bello; così triste, così triste, che se non voglio piangere devo mordermi le labbra o se questo non basta, bisogna che cerchi qualche cosa che non ho perso. Oggi la sorte mi ha aiutato: mamma ha perso un ago».
Imperterrita, continua a stilare le liste di libri che vorrebbe ricevere in regalo (c’è pure Hoffmann col suo Mastro pulce) e intanto fuori nella notte suonano gli allarmi, si sentono le cannonate e gli spari, «c’è in giro aria di assedio». In ballo, per lei ormai adolescente e la sua famiglia, c’è la possibilità che Trieste non resti italiana «per farsi jugoslava», i genitori bisbigliano fra loro di vendite di mobili e presunti trasferimenti in altre città. A Donatella Ziliotto non resta che lanciare bandiere tricolori dalla finestra, allungando l’elenco dei titoli che desidera (da Stevenson a Ada Negri passando per Guerra e pace di Tolstoj) e prendendo appunti su quelli letti durante le vacanze estive in una sorprendente infilata (lunghissima) di ottime letture che oggi farebbero impallidire un qualsiasi ragazzino della generazione internet. Pensa pure al futuro, lo vede nerissimo, vorrebbe mantenersi agli studi da sola e fare una professione che a casa non è ben accolta perché «non sicura»: la giornalista.