Sono ancora quattro i focolai attivi nell’area di Los Angeles interessata da incendi che a oggi hanno bruciato 400 chilometri quadrati di territorio. Le zone interessate includono le contee di Los Angeles e di Ventura, a nordest della città. È in quest’ultima che è sviluppato l’incendio maggiore; il Thomas Fire ha obbligato le autorità  a far evacuare oltre 50mila residenti, almeno 200 case sono bruciate.

NELLA CONTEA SONO ATTIVI i centri d’emergenza per gli sfollati, il governatore Brown ha dichiarato lo stato d’emergenza; i fondi federali di  assistenza sono già stati stanziati. L’incendio – scoppiato lunedì nei pressi della città di Santa Paula – ha completato una marcia inesorabile di 30 chilometri raggiungendo la costa a sud di Santa Barbara in meno di tre giorni.

Altri incendi bruciano nei pressi dei sobborghi di Santa Clarita e della San Fernando Valley. Los Angeles torna a bruciare in questa «stagione del fuoco» resa più pericolosa dalla forte siccità e dai venti Santa Ana che da giorni soffiano dal deserto. Su parti dell’area metropolitana grava una cappa di fumo che ha indotto le autorità a sospendere per una settimana le lezioni in 265 scuole pubbliche a causa della qualità nociva dell’aria.
Non è esattamente la città a bruciare. Per mettere la situazione nella giusta dimensione geografica nell’enorme bacino metropolitano, è come se – visti da Roma – gli incendi bruciassero a Rieti , Viterbo e Tarquinia.

UN QUARTO INCENDIO si è però sviluppato mercoledì molto più vicino al centro urbano, nel lussuoso quartiere di Bel Air. Le colline sopra Beverly Hills sono costellate di sontuose ville, una dozzina delle quali sono andate in fumo, divorate dalle fiamme salite dai ripidi canyon densi di macchia mediterranea.

Fra le vittime illustri  anche la tenuta di Rupert Murdoch, padrone della Fox News e magnate dell’informazione reazionaria: la sua villa con vigneto ha sostenuto ingenti danni. Quell’incendio è ancora attivo non lontano dal Getty Center. Il grande museo di travertino con la sua collezione di arte antica è stato avvolto dal fumo ma non correrebbe pericoli imminenti.
Gli incendi sono parte del ciclo ecologico della California dove anche in condizioni normali le fiamme spazzano regolarmente boschi e la macchia (come in tutte le regioni a clima mediterraneo).

OGNI AUTUNNO LA STAGIONE dei fuochi arriva spinta dai venti torridi che soffiano dai deserti interiori del Great Basin verso le coste. A sud sono i Santa anas, nel nord vengono chiamati Diablos; sono quelli che Raymond Chandler descriveva come «venti rossi» che «scendono dai passi montani, arricciano i capelli,  fanno prudere la pelle e saltare i nervi».
Quando arrivano in prossimità delle coste possono ululare nelle gole e nei canyon con raffiche fino a 70 chilometri orari.  Nell’aria calda e secca basta una cicca o una scintilla – naturale o dolosa – a far scoppiare il finimondo. Nelle risultanti «tempeste di fuoco» le fiamme si muovono con la velocità di un’auto e possono saltare autostrade di otto corsie.

È CIÒ CHE È SUCCESSO anche questo dicembre. A ottobre era toccato a Santa Rosa e le contee di Napa, Sonoma e Mendocino, a nord di San Francisco dove gli incendi sono stati i più catastrofici della storia dello stato, bruciando oltre 3.000 case e costando la vita a 44 persone.  Nella tassonomia delle psicosi californiane, gli incendi – anche se più prevedibili, ad esempio, dei terremoti – sono quelli che hanno il maggiore impatto, proprio perché interessano uno dei paesaggi più topici: la suburbia che ricopre territori sempre più vasti a costi economici ed ambientali sempre più elevati.

NELLE ZONE RESIDENZIALI limitrofe alla città, case e fattorie si inerpicano sulle colline e in una geografia sempre più tipica – caratterizzata dalla «suburbanizzazione» delle campagne e degli hinterland, una edificazione a bassa densità che si spinge sempre più addentro territori in cui il fuoco è parte di una naturale ecologia degli incendi – un numero sempre maggiore di persone è esposta alla catastrofe annunciata.

NELLA GRADUATORIA delle catastrofi «naturali» gli incendi sono anche i più costosi dato che colpiscono popolazioni più abbienti e impegnano eserciti di pompieri a difesa di costose proprietà. Fra questi vi sono anche centinaia di detenuti appositamente addestrati pagati 1 dollaro (e due giorni di sconto sulla pena) per ogni giorno di lotta contro le fiamme.
Si tratta, va detto,  di una dinamica alimentata da un’industria edile e immobiliare che conosce l’unico dogma dello sviluppo in crescita costante, senza badare a considerazioni territoriali o di sostenibilità, nel nome del mito persistente del villino monofamigliare come fondamento di «sogno americano». E sono dinamiche destinate solo ad accentuarsi. Come gli uragani – che quest’anno hanno dimostrato intensità rapidamente crescenti – il mutamento climatico accentua i cicli meteorologici alla radice di siccità e venti caldi che alimenta gli incendi.

IL FENOMENO non è limitato alla California; in tutto il quadrante semi arido americano e canadese che va dal Pacifico alle montagne rocciose quest’anno sono bruciati a oggi quasi 4 milioni di ettari di territorio.

Intanto la congiuntura di maggiore pressione antropica, consumo insostenibile del territorio e mutamento climatico promette una frequenza sempre maggiore di catastrofi «naturali». Saranno dunque inevitabili anche stavolta le polemiche, accentuate dalla guerra ideologica che contrappone su opposti versanti l’ambientalista governatore californiano Jerry Brown al negazionista paleo-industriale Donald Trump ed i suoi ministri, come il direttore del Environmental Protection Agency (EPA) che ha espressamente vietato agli scienziati del proprio dicastero di citare il mutamento climatico.