Alla fine degli anni Novanta Clarksdale, polverosa cittadina appartenente alla contea di Coahoma, in Mississippi, una delle più povere di tutti gli Stati Uniti dove oltre il 35% dei residenti vive in stato di povertà, era tristemente nota più per il numero di musicisti che fuggivano che non per quelli che sceglievano di vivere in questa terra di poco meno di 20 mila anime.

I tempi d’oro intorno agli anni Trenta del XX Secolo, quando i negozi di downtown avevano un giro di affari pari a 13 milioni di dollari l’anno e la città era considerata la capitale del cotone, grazie alla sua posizione strategica lungo l’asse ferroviaria Memphis-New Orleans, erano svaniti da tempo, da quando la meccanizzazione del lavoro nelle piantagioni aveva dato l’avvio all’esodo verso le città del Nord.

Vacanze all’inferno

«Benvenuto all’inferno» fu la prima cosa che si sentì dire una volta arrivato in città, Roger Stolle, un ragazzo originario dell’Ohio che 11 anni prima aveva lasciato St Louis e le certezze da pubblicitario per inseguire il suo sogno: quello di trasferirsi nel Delta del Mississippi, dove erano vissuti o avevano suonato i suoi idoli musicali, da Muddy Waters a Robert Johnson, da Charley Patton a Son House. «Per sette anni questo è stato l’unico posto dove sono andato in vacanza – mi racconta durante una pausa di un concerto che si tiene a mezzogiorno davanti alla Hambone Gallery e che fa parte di uno dei tanti street music festival della zona – fino a quando ho capito che era giunto il momento di dare una svolta alla mia vita». Stolle oggi ha 46 anni e da 11 dirige Cat Head, un emporio di dischi e più in generale di southern culture, ma sarebbe riduttivo farlo passare come un semplice commerciante di cd e libri dedicati al blues, nonostante il suo splendido negozio sia considerato come uno dei 15 record store migliori d’America. Da queste parti, infatti, tutti riconoscono al ragazzo del Midwest il merito di aver contribuito in maniera determinante alla rinascita musicale e culturale di Clarksdale. Roger ha messo in piedi un festival dedicato al blues, una rassegna di cinema, Clarksdale Film festival, che si svolge a fine gennaio, e altri 3 mini festival blues completamente gratuiti che si tengono ogni anno di fronte al suo negozio. Ridando fiducia a un’intera comunità.

il Cat Head a Clarksdale
il Cat Head a Clarksdale

«Quando sono arrivato qui pensavo che a downtown ci fosse il coprifuoco, passeggiavi di pomeriggio e rischiavi di non incontrare anima viva. Oggi molte cose sono cambiate e Clarksdale è l’unico posto nel Delta dove puoi ascoltare musica blues live sette giorni alla settimana».

Nessuno storico potrà mai indicarvi con certezza un luogo o una data di nascita del blues, in una terra dove mistero, verità e leggenda si fondono in un unico grande racconto popolare. Ma se si è alla ricerca di un luogo, anche simbolico, dove la musica del diavolo ha svolto un ruolo fondamentale, allora non esiste posto migliore dove recarsi dell’area intorno a Clarksdale. Fu qui che Muddy Waters, scoperto per caso dal cacciatore di ballate più famoso d’America, Alan Lomax, un meticoloso studioso di musica popolare considerato tra i pionieri dell’etnomusicologia moderna, comprò nel 1943 un biglietto di sola andata dell’Illinois Central Railroad: destinazione Chicago, in cerca di fortuna. E fu sempre da queste parti, più precisamente a Tutwiler, 20 chilometri più a Sud, che nei primi del Novecento WC Handy, un musicista dell’Alabama che stava avendo un discreto successo guidando un’orchestra nera da ballo di ben venti elementi, udì per caso, di notte, in attesa di un treno che non arrivava mai, un «nero vestito di stracci» che suonava la chitarra utilizzando un coltello per imprimere alle corde un suono lamentoso. Cantava una melodia apparentemente incomprensibile di una strofa, ripetuta più volte: «I’m goin where the Southern cross the dog», che parlava di un luogo dove si incrociano due linee ferroviarie (la Mississippi Valley, soprannominata appunto «te yellow dog», con ferrovia Southern).

Ma non erano tanto le parole a sorprendere, rivelerà in seguito Handy nella sua autobiografia, pubblicata nel 1941 e intitolata con arroganza «The Father of the Blues. Quanto quella sua predisposizione quasi naturale a riempire gli spazi lasciati liberi dalla voce con suoni della chitarra così bizzarri da sembrar rivoluzionari. Handy, che mai prima di allora aveva ascoltato un suono simile, ne rimase affascinato.

Il blues rurale del Mississippi stava lentamente prendendo forma. Si trattava di una musica, influenzata dai canti degli schiavi africani, fatta da e per neri, spesso poverissimi, che in larga parte non erano in grado di leggere e di scrivere e che non erano considerati sufficientemente rispettabili neanche per lavorare come servitù nelle case dei padroni bianchi. Veniva suonata come risposta o antidoto contro la disperazione, sentimentale, economica e sociale, nelle piantagioni di cotone o lungo l’argine del Delta, dove i neri valevano meno dei muli che conducevano: «Ammazza un negro ne prendi un altro; ammazza un mulo devi comprarne un altro» era un simpatico detto che andava per la maggiore all’epoca.

Il Delta del Mississippi è pieno di storie legate al blues e alle sue leggende, gran parte delle quali affidate alla sola tradizionale orale. Ma per quasi un secolo si è colpevolmente ignorato questo patrimonio culturale e solo negli ultimi anni la rotta è stata invertita, complice un nuovo turismo internazionale che sempre più spesso si avventura oltre oceano per andare alla scoperta dei luoghi di origine della musica americana. «Anni fa a promuovere il blues c’erano solo appassionati e amatori, con pochissimi fondi e senza un progetto reale, mentre negli ultimi tempi è aumentato l’interesse delle agenzie governative e di gran parte della business comunity», mi spiega Scott Barretta, storico del blues ed editor del Living blues magazin. «Ma l’aspetto più interessante – aggiunge – è che lo Stato è stato coinvolto nello sforzo di ridefinire il Mississippi, investendo e promuovendo la black culture. Una sorta di rivoluzione, se guardiamo alla nostra storia, e qualcosa di assolutamente inimmaginabile solo trenta anni fa». Va in questa direzione il progetto «Mississippi blues trail», una sorta di sentiero fai-da-te che tocca i più importanti siti legati alla storia del blues. Luoghi apparentemente anonimi come cimiteri, strade, incroci ferroviari o semplici baracche, ora contrassegnati da appositi markersdi colore blu, che tenuti insieme da un filo invisibile formano una sorta di immaginifico museo a cielo aperto dove recarsi in silenzioso pellegrinaggio a rendere omaggio al Dio del Blues. Il primo cartello del progetto è stato posato sul terreno nel 2006 a Holly Ridge, presso la tomba di Charley Patton, che per quasi 3 decenni, seppur non consecutivi viste le sue ripetute fughe, visse alla Dockery Plantation ed è considerato il più importante tra i musicisti blues della prima generazione. Da allora ne sono seguiti circa 200, grazie ad un investimento, finanziato con fondi statali e federali, di circa 2,5 milioni di dollari. «Volevamo celebrare la cultura che proviene dal nostro territorio e al tempo stesso valorizzarla dal punto di vista turistico», racconta Malcon White, il direttore del Dipartimento del Turismo del Mississippi, orgoglioso del fatto che oggi il turismo culturale sia in forte espansione e che quello musicale «rappresenti il settore di maggiore crescita».

Povertà e caffè hipster

Certo, Clarksdale resta una città povera. Nel centro cittadino sono visibili case fatiscenti e vetrine sprangate, ma contemporaneamente sono spuntati nuovi musei, gallerie e caffè che non sfigurerebbero nel quartieri hipster di San Francisco. Anche Morgan Freeman, l’attore americano nativo del Mississippi, ha deciso di investire proprio qui a Clarksdale, partecipando all’apertura del Ground Zero Blues Club, un locale dall’atmosfera volutamente trasandata che fa il verso ai vecchi juke joint di una volta, le improvvisate strutture che nei primi decenni del Novecento fungevano da ritrovo serale per gran parte degli afroamericani e al cui interno tutto, o quasi, era lecito: ballare, trovare la giusta compagnia, bere alcool clandestino, su tutti il fortissimo whisky di mais, e giocarsi d’azzardo quei pochi spiccioli guadagnati con sudore e fatica sui campi.
«Se gestisci un negozio di blues nel Delta qui a Clarksdale ci sono un paio di domande a cui sarai costretto a rispondere ogni settimana – mi aveva confidato Roger Stolle – la prima, facile, è dove si può trovare della buona musica dal vivo. La seconda, più tosta, è dove si trova il maledetto crocicchio». Ovvero il celebre e fantomatico incrocio dove Robert Johnson, il più famoso e influente bluesman della storia del Mississippi, vendette l’anima al diavolo. Una storia che a Clarkdale è vecchia quanto il blues. A metà degli anni Trenta un aspirante musicista, giovane, un po’ goffo e non particolarmente dotato, sparisce per un anno o poco meno nel Delta del Mississippi, senza lasciare tracce. Fino a quando un giorno, allo scoccar della mezzanotte, riappare a un desolato incrocio, dove incontrerà un misterioso uomo nero gli fornirà abilità e virtuosismi chitarristici inarrivabili per un comune mortale. Così racconta l’incontro il giornalista musicale Peter Guralnich in Searching for Robert Johnson: «Un giorno, era lui stesso a raccontarlo, si era recato a mezzanotte al centro di un crocevia e lì si era messo a suonare in attesa di un possibile evento. Ed era arrivato un uomo tutto nero che gli aveva preso la chitarra, l’aveva accordata, aveva suonato un motivo sconosciuto e poi gli aveva restituito lo strumento. Non si erano scambiati una parola».

La leggenda dell’incrocio e del patto con il diavolo è quasi certamente falsa ma la storia, che trova le sue radici ultime nel misticismo africano e nella magia nera, si è via via diffusa con il passare degli anni, rafforzandosi a partire dagli anni Sessanta quando Robert Johnson acquisì fama e notorietà internazionale grazie a un giovane chitarrista londinese, Eric Clapton. Ci ha pensato poi Hollywood, come spesso accade quando si tratta di maneggiare la verità a proprio piacimento, a diffondere la leggenda, con il modesto film Mississippi Adventure, diretto da Walter Hill, che si apre proprio con la scena del crocicchio.

3STORIE EclarksdaleentrataMissisp
Ma a prescindere dai misteri legati all’incrocio, immortalato da 3 chitarre elettriche illuminate appese a un palo che sembrano non aspettare altro che una foto ricordo, Robert Johnson resta una figura centrale per comprendere la storia del blues e la sua influenza musicale, nonostante le sole 29 incisioni realizzate.

http://youtu.be/NUhMJS75kRU

«Per me Robert Johnson è il più importante musicista blues mai vissuto – ha detto Eric Clapton – La sua musica rimane il pianto più straziante che penso si possa riscontrare nella voce umana». Se a questo aggiungiamo che Johnson ha rappresentato alla perfezione l’archetipo dell’artista maledetto, poverissimo, vagabondo, dedito a whisky e donne, allora il cerchio si chiude. Non ci sono molte certezze legate alla sua vita, perfino la sua data di nascita, nel 1911, è in dubbio, e le sue presunte 3 lapidi disseminate lungo il Delta non fanno altro che alimentarne il mito. L’unica cosa certa è che morì giovanissimo il 16 agosto del 1938 (lo stesso giorno di Elvis), dopo 2 giorni di agonia, «abbaiando come un cane».

Qui la verità si ferma e iniziano le storie, la più nota delle quali racconta che fu avvelenato da un marito geloso che per vendicarsi mise della stricnina in una bottiglia di whisky. Ma sono in molti a pensare che, alla fine, comunque sia andata la faccenda, il diavolo sia semplicemente tornato a chiedere il conto.
2 – continua