Quando al senato ancora il dibattito è in corso Nicola Zingaretti fa i complimenti al presidente del consiglio per come è riuscito a rimettere ordine nel pasticciaccio brutto del Meccanismo europeo di stabilità. «Bene Conte che sul Mes smonta una a una le bugie delle destre. Basta raccontare frottole agli italiani. Gli altri parlano e noi affrontiamo e risolviamo i problemi del Paese», twitta il segretario. Il Pd vuole guardare avanti, oltre gli evidenti macigni che il governo ha davanti a sé nell’immediato.

IN SERATA, ALLA FINE di una giornata durissima, il premier è alla mostra Photoansa 2019. Anche lui ostenta ottimismo. Parlando delle regionali esprime l’auspicio che «le forze della maggioranza possano darsi una traiettoria ben ampia». Annuncia che dopo la manovra ci sarà «un cronoprogramma» per il rilancio dell’azione di governo. Il vicesegretario Andrea Orlando coglie il segnale ed esprime apprezzamento per queste parole, sia a proposito del «progetto politico che abbiamo messo in campo per sostenere questo governo» sia per il velato appello ai 5 stelle sulle regionali. «Il Pd è pronto: la scelta di campo è netta tra le forze progressiste, civiche e democratiche da un lato e le destre estremiste e antieuropeiste dall’altro».

MA NEL POMERIGGIO dai capannelli dem, quelli del transatlantico della Camera e quelli di Palazzo Madama, filtra grande preoccupazione. L’allarme rosso non è cessato. La bomba non è disinnescata.

LA FREDDEZZA CON CUI L’M5S ha accolto le parole di Conte è plateale, persino esibita. A Montecitorio il ministro Di Maio resta gelido accanto al premier. Al senato non va neanche, e invece riunisce i suoi. «I suoi», poi, è un concetto superato. Il gruppo è diviso: quelli che gli contestano di mettere a rischio il governo, quelli che invece gli chiedono di tenere il punto, quelli che già annunciano che non voteranno il Mes. Il senatore Mario Giarrusso non si tiene: «Se voterò no? Non c’è dubbio. Ho fatto due campagne elettorali contro il Mes, quelle che abbiamo vinto». Più diplomatico Gianluigi Paragone, l’ultrà antigoverno. A chi gli chiede se il Mes ha i numeri per ‘passare’ in aula risponde «Non tengo il pallottoliere», «Posso concedermi il lusso di pensare in termini politici». In serata Di Maio licenzia una nota: di Conte ha apprezzato «la posizione ribadita circa la logica di pacchetto come richiesto al vertice di maggioranza dal M5S», quello di domenica notte che si sarebbe svolto a detta di tutti «in un clima costruttivo». Ma poi resta in bilico fra le opposte fazioni interne: «Il M5S oggi più che mai è compatto di fronte a la necessità di dover rivedere questa riforma che, ad oggi, presenta criticità evidenti». La sua posizione è delicata. Da tempo al senato circola la storia degli otto grillini in avvicinamento alla Lega. Potrebbero scegliere il voto sul Mes per fare il primo passo. Le conseguenze sarebbero catastrofiche.

NEL POMERIGGIO ANCHE RENZI prova a entrare in partita. Italia viva domenica non ha partecipato alla riunione di Palazzo Chigi. «Si mettano d’accordo fra loro», aveva detto con sufficienza il senatore di Scandicci. Ieri al senato ribadisce il concetto ai cronisti: «Sul Mes litigano M5s e Pd, noi in questa vicenda non c’entriamo un c…». E a chi gli chiede se il governo regge: «Non so, certo ci sono sette-otto questioni aperte: Alitalia, la popolare di Bari, la prescrizione, l’autonomia, che Boccia è andato avanti da solo». Su questo annuncia di aver chiesto un incontro a Conte. Sotto la pioggia di inchieste, per Renzi il voto è una iattura. Ma spiegano che il senatore dire al premier «che così si va a sbattere».

PREOCCUPAZIONE ARRIVA anche dai ministri dem. Ieri, dopo il dibattito al senato e prima del consiglio dei ministri, Dario Franceschini riunisce la delegazione. «Per raccordarci sulle principali questioni sul tavolo», è la spiegazione ufficiale. Ma più tardi filtra l’ansia: i ministri dem, spiegano fonti Pd, sono «preoccupati delle fibrillazioni che a turno alcuni alleati quotidianamente sembrano provocare al governo». Ma restano «fiduciosi che prevalga la responsabilità». E la razionalità: il ragionamento è che per i 5 stelle «non ci sono alternative a questo governo».

FINO A IERI SUL CALENDARIO dell’esecutivo la data cerchiata in rosso era il 26 gennaio, il giorno del voto in Emilia Romagna. Da quel fronte per fortuna invece arrivano buone notizie: secondo l’istituto Izi in quella regione la Lega è il primo partito (al 29,8) ma il candidato del centrosinistra Bonaccini è avanti rispetto alla salviniana Borgonzoni: al 45,4 per cento contro il 40,6.

DA IERI INVECE LE DATE CERCHIATE sono tre, e molto più ravvicinate: la prima è il 4 dicembre quando il ministro Gualtieri parteciperà all’Eurogruppo che stilerà il piano definitivo sul Mes e la road map per l’unione bancaria. Il busillis è se si pronuncerà la parola «rinvio», che il M5s continua a chiedere. E come il ministro la riferirà a Roma. E poi il 10 e l’11 dicembre, quando il premier tornerà alle camere, per l’informativa, alla vigilia del consiglio Ue. La Lega presenterà la sua risoluzione, ma anche i gruppi della maggioranza lo faranno. Lì si vedrà se al senato la maggioranza c’è ancora.