Sanzioni, contro-sanzioni, minacce, riferimenti a un “complotto”, parole grosse e esibizione di muscoli: lo scontro tra Usa e Turchia e tra i due leader autoritari Trump e Erdogan, che dura da mesi, si è aggravato ieri e ha fatto precipitare la lira turca, che ha perso in poche ore il 17%, un crollo che ormai sfiora il 40% rispetto al dollaro dall’inizio dell’anno. La Bce ha espresso viva “preoccupazione” per le conseguenze sul sistema bancario europeo. In particolare, i maggiori rischi sono per una banca spagnola, la Bbva, l’italiana Unicredit, la francese Bnp (seguita da Crédit Agricole e da SocGen), per la mancata copertura dei rimborsi. Le borse europee hanno chiuso in rosso. La crisi è stata scatenata ieri da un tweet di Trump, che ha annunciato un raddoppio dei dazi sull’import di acciaio e alluminio dalla Turchia, portati rispettivamente al 50% e al 20%. “La lira turca scivola rapidamente al ribasso contro il nostro fortissimo dollaro!” si è indignato Trump, che ne conclude che “le relazioni con la Turchia non sono buone ora”.

L’elemento più recente è il caso del pastore statunitense Andrew Brunson, che rischia 35 anni di carcere con l’accusa di “terrorismo” e “spionaggio” a favore del Pkk curdo e di Fethullah Gülen, la bestia nera di Erdogan, che risiede negli Usa e che il presidente turco considera responsabile del fallito colpo di stato del 2016. In precedenza c’erano state delle sanzioni Usa contro due ministri turchi, degli Interni e della Giustizia. I negoziati tra il segretario di stato Mark Pompeo e il turco Mevlüt Cavoluglu, per arrivare a uno scambio tra Gülen, che Erdogan vorrebbe condannare in Turchia, e Brunson, sono falliti. Dietro questa storia, ci sono ragioni politiche e economiche: in ballo c’è la tensione sulla Halkbank turca, accusata dagli Usa di aver effettuato transazioni con l’Iran, malgrado le sanzioni statunitensi. Inoltre c’è una crisi Nato: la Turchia è il secondo esercito Nato dopo quello Usa, ma Erdogan, che ieri si è rivolto alla Russia per chiedere aiuto, ha in mente di acquisire dei sistemi di difesa anti-aerea S-400 russi. Martedi’, il Congresso Usa ha bloccato la consegna di un centinaio di F-35 alla Turchia, perché in questo frangente gli americani temono che Ankara riveli a Mosca dei segreti di fabbricazione e di funzionamento. La tensione Usa-Turchia è forte in Siria, dove i turchi sono irritati dal sostegno che gli americani hanno dati ai curdi dell’Ypg.

Erdogan, in due discorsi tenuti ieri, ha puntato il dito contro un supposto “complotto” e contro “la lobby dei tassi di interesse”: per la Turchia, difatti, la strada è stretta ormai, per cercare di tamponare la crisi ha di fronte lo spettro di bloccare i capitali (ieri Erdogan ha chiesto alla popolazione di cambiare la valuta estera in lire turche per la “patria”) o accettare la tutela dell’FMI. La crisi è causata dall’addizione di un deficit delle partite correnti, di un eccessivo debito privato, di alto livello di investimenti esteri nelle banche turche (intorno al 40%) e di un’inflazione fuori controllo, al 16%, mentre Erdogan non vuole saperne di un aumento dei tassi di interesse. L’allarme degli investitori internazionali è al massimo dalle elezioni di giugno. La lira turca è in agonia da mesi. L’autoritarismo di Erdogan è pagato non solo dalla popolazione che subisce repressione e assenza di libertà, ma anche dall’economia: la Banca centrale ha perso l’autonomia, mentre il sultano ha nominato alle Finanze suo genero, Berat Albayrak, un caso clamoroso di nepotismo e di privatizzazione dello stato, che ieri doveva presentare il suo “nuovo modello economico”, che visibilmente non ha convinto.