Ha un titolo decisamente evocativo per quanto riguarda la cultura hacker. Decode (https://nexa.polito.it/decode-symposium-2019) vuol dire infatti, decodificare, interpretare cioè che si esperisce quando si «apre» la scatola nera della tecnologia per capire come funzionare, socializzando le conoscenze acquisite durante la scoperta dei misteri scientifici. Si chiama così l’iniziativa che si conclude oggi alla Nuvola Lavazza di Torino con l’impegno di Commissione europea, Fondazione per l’Innovazione Nesta, la Città di Torino, il Politecnico, The New Institute e Top IX.

Il tema del simposio è «I nostri dati, il nostro futuro: tecnologie per una società digitale democratica» all’interno, va da sé, di una conversione ecologica dell’economia (il Green New Deal), contenendo il potere delle multinazionali nello sfruttamento dei nostri dati personali. Tra i protagonisti Evgeny Morozov, saggista, giornalista della netculture e Francesca Bria, cervello in circolazione da anni, nomade intellettuale tra Londra e Barcellona, dove ha lavorato durante l’esperienza di Ada Colau, coordinando i progetti di smart city nella prospettiva solidale, ponendo così vincoli e precisi limiti allo sfruttamento della metropoli catalana. E se Morozov è conosciuto per i sui saggi contro i signori del silicio, Francesca Bria ha mandato recentemente alla stampe, insieme a Morozov, il libro Ripensare la smart city (Codice edizione).

A Torino, tuttavia, assieme a loro ci saranno anche altri relatori che si danno l’obiettivo di ricostruire l’affresco che negli anni è stato composto attorno a Internet, il fare business con essa e come questo habitat sia diventata una vera e propria seconda natura. Ci saranno Paul Mason, teorico della possibilità di una via d’uscita postcapitalistica dalla attuale crisi economica, Roberto Mangabeira Unger, figura nota in America Latina per il suo attivismo e il lavoro teorico di scavo sui meccanismi vigenti e quelli auspicabili sul funzionamento della fragile democrazia occidentale. Recentemente ha pubblicato Knowledge economy (Verso). Con loro oggi anche lo scrittore Bruce Sterling. L’intervista con Francesca Bria si concentra però sul concetto di sovranità digitale, tema affrontato in questi anni a partire dalla sua esperienza sul campo.

Il concetto di sovranità per quanto riguarda i dati è una realtà inedita: i dati ignorano confini e barriere. Come immaginare un concetto di sovranità in una situazione dove le frontiere sono ignorate per raggiungere l’obiettivo di appropriarsi dei dati personali?
La sovranità digitale significa anche che bisogna mettere in discussione il modello economico e di profitto alla base dell’attuale mercato digitale. Ovvero, le tecnologie digitali possono facilitare la transizione dall’odierna economia del «capitalismo della sorveglianza» (come definito da Shoshana Zuboff) basata su un modello economico estrattivista, per cui una manciata di società statunitensi e cinesi si battono per la supremazia digitale globale e in cui i nostri dati diventano una merce da vendere ai pubblicitari e alle agenzie di intelligence…verso un futuro digitale democratico, in cui i dati sono un’infrastruttura pubblica e un bene comune controllato dai cittadini.

Rispetto ai confini e alla riconquista del controllo democratico su piattaforme e dati ci sono due nodi da sciogliere: in primo luogo, l’economia digitale si baserà sempre più su beni immateriali che consentono ai giganti della tecnologia di catturare una rendita che gli permette di fare forti investimenti anche sulle nuove infrastrutture digitali. Basti pensare che aziende come Amazon e Google investono circa 15 miliardi all’anno in ricerca e sviluppo. Inoltre, sfruttando le reti di distribuzione globali, Google è in grado di muoversi da un settore all’altro e passare dal mercato dei motori di ricerca, alla robotica fino alle auto autonome; e Amazon può passare ad essere e una piattaforma online all’attore che domina il mercato del cloud computing, al settore sanitaria. In secondo luogo, queste imprese sono iper-finanziarizzate; si tratta di un potere che può essere utilizzato per consolidare ulteriormente la loro posizione dominante.

[do action=”citazione”]Questa crescita delle Big Tech è dunque abbinata a strategie fiscali sleali che sfruttano la concorrenza fiscale a livello internazionale, attuando strategie di elusione o evasione fiscale vera e propria.[/do]

Ciò comporta anche profondi cambiamenti nell’organizzazione del lavoro, perché l’automazione tende a sostituire posti di lavoro meglio retribuiti in quanto software, robot e intelligenza artificiale rendono di più. Abbiamo di fronte un’enorme sfida per invertire la situazione attuale e assicurarci che algoritmi e Big Data vengano utilizzati per servire i cittadini, migliorare i servizi pubblici e le condizioni di lavoro.

Dalla vostra esperienza sembra emergere che siano le città a poter diventare il soggetto politico che consente un recupero di sovranità sui dati. Come immaginare questo salto di qualità?
Il controllo sui dati e sulla gestione dei servizi basati sull’AI è una questione chiave: i dati saranno controllati dalle grandi aziende, dallo stato o dai cittadini? Dovremmo anche considerare l’impatto dei dati e dell’AI sullo sviluppo futuro delle nostre città e sullo sviluppo industriale, in particolare nei settori strategici del futuro come l’automazione del manifatturiero, le auto autonome, l’agricoltura e i servizi sanitari.

[do action=”citazione”]Per questo motivo, dobbiamo considerare i dati come un’infrastruttura pubblica come l’elettricità, acqua, strade e l’aria pulita che respiriamo.[/do]

Questa visione può essere realizzata mentre si impongono forti regole di concorrenza, regolando l’accesso ai dati e imponendo alle grandi piattaforme digitali di condividere i dati che hanno un interesse pubblico. Ciò promuoverà la condivisione di dati e algoritmi in modo che l’Europa possa creare servizi aperti e condivisi a partire dalle città che possono essere utilizzati da tutte le piccole e medie imprese, le pubbliche amministrazioni, cooperative e organizzazioni sociali. Possiamo imparare dal modello di Barcellona che ho implementato negli ultimi quattro anni e che ora è un riferimento per molte altre città a livello globale. Abbiamo dichiarato che i dati prodotti dal cittadino appartengono al cittadino. Abbiamo incluso clausole di «sovranità dei dati» nei contratti di appalto pubblici. In questo modo questi dati diventano un’infrastruttura pubblica- un bene comune controllato dai cittadini di Barcellona.

Si fa un gran parlare di sovranismo digitale. Per la Rete viene prospettata una sorta di colonizzazione secondo una divisione lungo le linee del colore, della religione, del sesso, di generiche appartenenze sociali. Ognuno viene cioè rinchiuso tra i propri simili. Chi è il sovrano? Il social network, l’impresa, oppure lo stato nazionale che rivendica le sue prerogative tradizionali di gestore in prima e ultima istanza?
L’Europa dovrebbe affrontare la dipendenza strutturale dalle tecnologie straniere: la maggior parte delle infrastrutture nazionali critiche di hardware e software sono costruite al di fuori dell’Ue, comprese le società che gestiscono grandi flussi di dati. Attualmente, vi è ancora più preoccupazione per l’impatto causato dalle tensioni commerciali tra Stati uniti e Cina, con specifici divieti da parte Usa di usare tecnologie cinesi dovuti a motivi di sicurezza nazionale. Il commercio digitale è un nuovo campo di battaglia normativo e l’Europa deve reagire per garantire la privacy, la sicurezza informatica e le condizioni per la concorrenza e una gestione più democratica. L’Europa ha anche bisogno di strategie nazionali e di un ampio sostegno pubblico per sviluppare l’intelligenza artificiale, investendo in chip, la rete 5G, supercomputing, chip e algoritmi. Queste sono le industrie chiave del futuro e abbiamo bisogno di costruire queste capacità in Europa per fornire i servizi di welfare futuri nel campo della mobilità, educazione, sanità etc.