Contestare la violazione dei diritti nelle tante periferie del mondo è spesso più facile che riconoscerla nel cuore dell’Europa. Magari laddove le Alpi si increspano, al confine tra Italia e Francia, e sotto di esse si vorrebbe far correre un treno veloce (forse, ora, senza più merci) che poco serve, se non alle ristrette lobby, e che la popolazione del territorio contesta da anni. Tav e Val di Susa sono molto di più che un progetto e un luogo geografico.
Da 35 anni, esiste un organismo internazionale, il Tribunale permanente dei diritti dei popoli, erede del Tribunale Russell che negli anni Sessanta dello scorso secolo, con lo scopo di difendere i diritti dell’uomo, indagò i crimini commessi dai militari statunitensi nella guerra del Vietnam. Ha sede a Roma presso la Fondazione Lelio Basso. Si è occupato del caso Bhopal e di Chernobyl e, recentemente, delle attività delle imprese transnazionali in Colombia, affermando che è diritto dei cittadini e delle comunità «essere consultati al fine di ottenere il consenso libero, previo e informato, prima di adottare e applicare misure legislative o amministrative che li danneggino».
Al Tribunale si sono rivolti – inviando un esposto – il Controsservatorio Valsusa (rete di associazioni, cittadini e tecnici) e 15 amministratori della Valle con la richiesta di verificare se siano stati rispettati o violati i diritti fondamentali degli abitanti valsusini.
«Al di là delle apparenze, con l’attenzione convogliata solo sulle questioni di ordine pubblico, la Torino-Lione – ha sottolineato Livio Pepino, ex magistrato e presidente del Controsservatorio – è un tema poco conosciuto. Siamo disposti a sottoporci al giudizio di un soggetto terzo, anche al rischio di vedere smentite le nostre convinzioni.
Il Tribunale ha iniziato la fase di pre-istruttoria e sta valutando i documenti tecnici. Sapremo solo nei prossimi mesi, se istituirà una sessione a Torino». La corte sarà formata da un membro per ogni continente ed emetterà una sentenza che – essendo un Tribunale d’opinione – non avrà validità giudiziaria ma avrà un risalto internazionale. «Il tema di cui l’esposto investe il Tribunale – ha continuato Pepino – travalica il caso concreto e pone questioni di rilevanza generale, dalle crescenti devastazioni ambientali lesive dei diritti anche delle generazioni future alla drastica estromissione dalle scelte delle popolazioni interessate. Di tutto questo la Val di Susa è un simbolo».
Da 25 anni la Valle, stretta ma densamente popolata (97 mila abitanti), si batte contro quest’opera-mostro, evidenziando i molteplici aspetti critici.
In primis, l’impatto ambientale e i gravissimi rischi per la salute degli abitanti, derivanti dallo scavo del tunnel in una montagna ricca di amianto e di uranio e dai relativi lavori preparatori, con diffusione nell’atmosfera delle polveri sollevate. Poi, «la conclamata inutilità dell’opera, voluta da grandi gruppi imprenditoriali e bancari, sia per la sufficienza della ferrovia già esistente (utilizzata oggi per meno di un quinto delle sue potenzialità) sia per la caduta verticale del traffico merci e passeggeri sulla direttrice est-ovest (in diminuzione anche su strada).
E, ancora, lo sperpero di denaro pubblico, ammontando i costi dell’opera, in base ai preventivi, a 26 miliardi di euro (in un contesto in cui, nelle grandi opere pubbliche, i costi finali, nel nostro Paese, superano mediamente di oltre cinque volte quello preventivato).
Infine, «il mancato coinvolgimento del territorio, lo scavalcamento delle istituzioni locali e l’assenza di qualsivoglia meccanismo di consultazione dal basso alle decisioni» (previsto dalla Convenzione di Aarhus del 1998, un trattato internazionale volto a garantire all’opinione pubblica e ai cittadini il diritto alla trasparenza e alla partecipazione sui processi decisionali di governo locale, nazionale e transfrontaliero concernenti l’ambiente).
Il ricorso al Tribunale verrà presentato venerdì a Susa dallo stesso Pepino, Marco Revelli, Sandro Plano, Alessandra Algostino, Claudio Cancelli, Alberto Perino.
A sostegno dell’esposto si sono espressi personalità dall’Italia e dal mondo: Frei Betto, Ken Loach, Leonardo Boff, Alessandro Zanotelli, Serge Latouche, Salvatore Settis, Luca Mercalli, Cecilia Strada, Marco Aime, Gustavo Esteva, Dario Fo, Tomaso Montanari, Paolo Rumiz, Sergio Staino, Luciano Gallino, per citarne alcuni. Hanno tutti sottolineato come la vicenda sia «emblematica della nuova frontiera dei diritti di fronte allo strapotere degli interessi economici che mette in pericolo l’equilibrio ecologico e democratico del pianeta».