La scelta dei Verdi italialni e di Possibile di partecipare alle elezioni europee con una propria lista, Europa verde, sollecita più d’una domanda. Perché correre da soli e non portare il proprio contributo all’interno dello schieramento della sinistra più ampia (Sinistra Italiana, Rifondazione Comunista, Partito del Sud, L’altra Europa con Tsipras, Trasform) che ha dato vita a La Sinistra? Risultato difficile e tardivo quanto si vuole, ma sforzo generoso di dare alla rappresentanza anche una reale connotazione europea. Perché non rafforzare un campo già frammentato e disperso, in un passante storico cruciale per l’avvenire prossimo dell’ Europa, per la vita politica del nostro Paese? Mentre un minaccioso fronte di destra razzista da anni Trenta del ‘900 monta in ogni angolo del mondo? Domanda forse ingenua. Verdi e Possibile davvero pensano di guadagnare un seggio in Europa mettendo insieme, solitariamente, le loro due sigle?

Naturalmente non pretendo di sindacare una legittima scelta politica, ancorché velleitaria. Ma non si può non denunciare il danno collaterale che essa produce. Non solo viene a togliere alcune connotazioni quanto meno simboliche a un lista che sarebbe stata più articolata e più ampia. Ma soprattutto rafforza nell’opinione pubblica e nell’immaginario politico nazionale, l’idea di una sinistra eternamente incapace di unità, affetta da narcisismo scissionista dei suoi leader, marcata dal connotato più grave per una forza politica: l’irresponsabilità.

Viene confermata la peste che ha finora ridotto nelle attuali condizioni la sinistra italiana: la nessuna preoccupazione di far mancare una rappresentanza politica alle forze più deboli, alla vasta platea del lavoro precario, al popolo degli inquinati, alla gioventù senza studio e senza occupazione. Si preferisce perdere perché non si riesce a piazzare un proprio candidato, anziché dare pur sempre un qualche contributo ad una causa comune.

Ma, ultima domanda, fino a che punto una tale pretesa è politicamente sostenibile? Non sono sul tavolo meriti speciali del partito dei Verdi nella lotta degli ultimi anni. Non si ricordano grandi campagne e mobilitazioni. E dal punto di vista delle originali elaborazioni teoriche e culturali, se non fosse per i lavori di alcuni solitari studiosi, la cultura dei Verdi sarebbe poca cosa. Per capirlo occorrerebbe affacciarsi sul panorama della cultura ambientalista della Germania: la ricchezza di pubblicazioni, di riviste, di associazioni, di istituti, di studiosi, fa impallidire la scena nostrana. E la scelta ultima di non aderire a La Sinistra non fa che riconfermare il sottile strato culturale su cui si reggono i Grünen nostrani: continuano a immaginare che i problemi ambientali consistano negli effetti indesiderati dello sviluppo.

Quando ormai anche gli adolescenti di mezzo mondo hanno capito che il disastro incombente sulla terra è il capitalismo stesso nella sua attuale struttura di dominio globale. La domanda di sostenibilità andrebbe rivolta anche a Possibile, sempre per capire quali rilevanti contributi di progetto e di mobilitazione popolare nella vita politica italiana dovrebbero giustificare le pretese elettorali.
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