«Di giorno dormo e la notte la passo sdraiato davanti alla porta di “casa” per proteggere la mia famiglia». Yama è afghano, scappato dai talebani. Vive insieme alla sua famiglia in una delle migliaia di tende allestite fuori dal campo di Moria. Nell’area chiamata «olive grove» o meglio «the jungle». Non dorme perché ha paura che qualcuno possa entrare nella sua tenda e fare del male alla sua famiglia. Yama, è uno dei circa 3mila profughi costretti a vivere accampati sulla collina, in mezzo agli alberi di ulivo.

IL CAMPO profughi ufficiale di Moria è sovraffollato. Dovrebbe ospitare 3 mila persone ma ce ne sono quattro volte di più, collocate in container che ospitano fino a 4 famiglie ciascuno. Tutti quelli che non trovano posto dentro al campo stanno fuori, in the «forest», senza alcun tipo di tutela e protezione. Le condizioni igienico sanitarie sono drammatiche. I servizi sono inadeguati per il numero di persone che aumenta giorno dopo giorno. «Si fa la coda per tutto – racconta una donna – per andare in bagno o farsi una doccia e per prendere la razione di cibo. Ci si mette in coda all’una e, forse, alle 4 si riesce a tornare a “casa” con un po’ di riso, qualche pomodoro e se va bene del pollo per tutta la famiglia. A volte capita che dopo un’ora di coda ti dicano che è tutto finito».

 

La maggior parte dei profughi arrivano dall’Afghanistan, scappati dalle persecuzioni dei talebani, dalla Siria dalla violenza di Daesh, o dall’Iraq, Iran, alcuni da Somalia e Congo. Le persone attendono anche fino a 3 anni per avere una risposta alla richiesta di asilo che inoltrano all’arrivo a Moria. I rifugiati sono «bloccati» sull’isola. L’accordo tra Ue e Turchia del marzo 2016 prevede l’obbligo di rimpatrio di tutti i migranti «irregolari» entrati in Grecia dalla Turchia, anche quando la domanda di asilo viene negata o nel caso in cui questa non venga presentata e quindi vengono considerati migranti economici; e l’impegno della Turchia, con blocco terrestre e navale, per fermare i flussi migratori diretti in Europa.

Il neo costituito governo conservatore greco, Nuova Democrazia, ha dichiarato di voler semplificare l’attuale legge sul diritto d’asilo. Probabilmente questo significherebbe l’abolizione della procedura di appello a cui può essere sottoposto un richiedente asilo respinto e che è obbligatoria ai sensi del diritto umanitario europeo e internazionale. Chi arriva nelle isole è sostanzialmente in stato di detenzione in forza al divieto governativo di allontanamento.

ALCUNI raccontano che l’unico modo per arrivare ad Atene è imbarcarsi illegalmente nascondendosi nei traghetti che partono da Lesbo. Per poi proseguire verso la Germania attraverso la rotta balcanica pagando circa 4 mila euro a testa ai trafficanti.
I soggetti più vulnerabili sono quelli che soffrono maggiormente delle condizioni disumane in cui vivono nel campo e sono le prime vittime in questa condizione di insicurezza. Nella «giungla» l’abuso di alcol e di droghe finisce con il generare risse e violenze quotidiane. Qualche settimana fa è stato ucciso un minore. C’è chi racconta di vere e proprie «gang» che rubano e di notte entrano nelle tende. Ci sono stati anche casi di violenze sessuali che hanno interessato soprattutto le donne sole e sono stati registrati casi di abuso sui minori. A Moria, sono presenti circa mille minori non accompagnati. «Nel campo è stata allestita una “safe zone” dove però gli adulti possono entrare e i minori possono uscire», commenta Marco Sandrone, il capo progetto di MSF a Lesbo. «Sempre più bambini smettono di giocare, hanno incubi, hanno paura di uscire dalle tende e iniziano a ritirarsi dalla vita» dice Katryn Brubakk, responsabile delle attività di Msf per la salute mentale a Lesbo. «Alcuni di loro smettono completamente di parlare. Con il crescente sovraffollamento, la violenza e la mancanza di sicurezza nel campo, la situazione dei bambini si deteriora di giorno in giorno. Per evitare danni permanenti, questi bambini devono essere allontanati immediatamente».

A LUGLIO e agosto, 73 bambini sono stati trasferiti alla équipe di salute mentale della clinica pediatrica di Msf fuori dal campo: tre avevano tentato il suicidio e 17 erano autolesionisti. Dieci avevano meno di sei anni, il più piccolo appena due. Per le 12 mila persone presenti a Moria il governo Greco ha pensato di inviare solo 2 medici per far fronte a questa situazione.
Il direttore del campo di Moria Giannis Balpakakis, si è da poco dimesso anche per le drammatiche condizioni di sovraffollamento e igienico sanitarie in cui sono ospitati i migranti e ha detto «Me ne vado a testa alta», dice. «Ho fatto quello che doveva essere fatto in circostanze difficili».

Sono circa 24 mila i profughi, uomini, donne e bambini intrappolati nelle isole greche. Il governo greco ha recentemente trasferito quasi 1.500 persone vulnerabili da Lesbo ma ne rimangono altre 2.500. «Questa non è una nuova emergenza: il grave sovraffollamento degli hotspot è una crisi causata dalle politiche che colpisce migliaia di uomini, donne e bambini, ogni giorno da anni. Lo abbiamo visto in passato e continuiamo a vederlo oggi», dichiara Tommaso Santo, capo missione Msf a Lesbo.

NEL FRATTEMPO gli sbarchi continuano. Arrivano soprattutto a nord dove la Grecia è più vicina alla Turchia, nella zona di Skala Sykamneas. Sono arrivati sull’isola circa 40 mila profughi dall’inizio dell’anno. L’organizzazione Refugee Rescue che opera il salvataggio in mare, la scorsa settimana in una sola notte ha soccorso 500 persone arrivate con 7 imbarcazioni. «Il mese di settembre è stato uno dei più impegnativi che la nostra organizzazione abbia mai avuto» – dice il portavoce, Roman Kutzovitz. Dall’inizio dell’anno sono arrivati sull’isola circa 15 mila persone e più di 3 mila nel mese di settembre secondo Aegean Board Report, una ong norvegese che fornisce report sulla crisi dei rifugiati nel Mar Egeo.

L’incremento delle partenze dalla Turchia e la conseguente situazione esplosiva per Lesbo e le isole greche, è frutto del «ricatto», ormai esplicito, con il quale Recep Tayyip Erdogan da sempre tiene sotto scacco Grecia ed Europa, con l’obiettivo di rinegoziare gli accordi del 2016 incrementando il supporto finanziario. «Altrimenti – come ha dichiarato a settembre – dovremo aprire i cancelli».