«La Turchia attacca insieme ai jihadisti. È normale che un membro Nato attacchi dei civili, senza essere stato aggredito? Che attacchi le persone che hanno combattuto contro l’Isis, una minaccia per il mondo intero? E che lo faccia proprio insieme ai jihadisti?». È secca la domanda che Dalbr Jomma Issa, comandante delle Ypj-Unità di protezione delle donne, rivolge alla comunità internazionale dalla conferenza organizzata a Roma giovedì, presso l’ufficio stampa della Camera dei deputati.

MENTRE PARLA MOSTRA alcune immagini: sono fotografie di morti e feriti. Le prime vittime civili degli attacchi turchi. E non esita a paragonare il presidente turco Erdogan a al-Baghdadi, leader dell’autoproclamato Stato islamico: «Appoggia i fondamentalisti. In Turchia molte persone sono in carcere per aver manifestato posizioni democratiche. Dal nostro punto di vista, sotto il comando di Erdogan la Turchia sta svolgendo il ruolo di un secondo califfato», dichiara Issa, che ha guidato la liberazione della città di Raqqa.

Anche Ahmad Yousef, membro del consiglio esecutivo della Federazione della Siria del Nord, guarda con preoccupazione alla presenza di fondamentalisti: «11mila jihadisti sono al confine tra Turchia e Rojava, tra membri di Daesh e Fratelli musulmani. Abbiamo visto quello che hanno fatto ad Afrin: migliaia di persone in fuga, violenze, rapimenti. Ora tutto rischia di ripetersi: al confine con la Turchia ci sono una decina di insediamenti, tra cui Kobane, Tell Abiad, Sere Kaniye». Secondo le prime informazioni, proprio queste ultime due città sarebbero state colpite da bombardamenti aerei. L’ospedale di Sere Kaniye sarebbe fuori uso.

È UN VERO RISCHIO GENOCIDIO quello di cui parlano i membri della delegazione: «La Turchia ha iniziato i bombardamenti aerei, e noi non abbiamo alcun tipo di contraerea, non possiamo difenderci da questo tipo di attacco», spiega la comandante Issa.

Un altro aspetto preoccupa particolarmente, ossia la presenza di miliziani di Isis imprigionati in Rojava: «Abbiamo pagato un prezzo altissimo, ma siamo riusciti a sconfiggere l’Isis e ad arrestare circa 12mila jihadisti. Abbiamo chiesto l’istituzione di un tribunale internazionale: la comunità internazionale non ha assunto alcuna posizione, né politica né giuridica», afferma Ahmad Yousef. Una mancata presa in carico che ora rischia di avere gravi conseguenze. «L’offensiva lanciata dalla Turchia pregiudica la sicurezza dei paesi europei. Indebolendo le forze curde si facilita la fuga dei miliziani di Daesh, tra cui moltissimi foreign fighters con passaporto europeo», evidenzia Erasmo Palazzotto, deputato di Sinistra italiana e organizzatore della conferenza stampa, che ipotizza la creazione di una forza di interposizione Onu: possibilità che non viene scartata dalla delegazione curda. «Potrebbe aiutare a fermare questa guerra: la presenza dei caschi blu impedirebbe alla Turchia di procedere», commenta la comandante delle Ypj.

LA RICHIESTA DI SOSTEGNO alla comunità internazionale è forte tanto quanto la critica mossa per il suo silenzio: «Da subito nei tre cantoni in cui si divide il Rojava – Afrin, Kobane, Jazira – abbiamo promosso una politica di convivenza tra curdi, arabi, turcomanni, cristiani, armeni. L’attacco è proprio contro il sistema democratico. Chiediamo alla Comunità europea, al Consiglio europeo, alla Nato: siete con noi o con l’Isis?».

Le risposte tardano ad arrivare. Gli Stati Uniti hanno ritirato le proprie truppe dalle zone di confine tra Turchia e Siria, mantenendo quelle nelle aree centrali del Rojava. «Sono anni che chiediamo l’istituzione di una zona cuscinetto: auspichiamo che venga finalmente approvata uno no-fly zone, così che gli aerei di Ankara non possano bombardare il Rojava», commenta Yilmaz Orkan, membro dell’Ufficio informazione del Kurdistan in Italia (Uiki). «Ci aspettiamo dalla comunità internazionale una risposta immediata. Non basta condannare la Turchia: deve essere fermata».