Per discutere della situazione cubana di fronte a un drink, un amico che vive nel quartiere residenziale di Koly mi porta in un paladar (bar-ristorante privato) vicino a casa. Lo gestisce una giovane coppia che ha deciso di mettere a frutto la terrazza della casa ereditata da uno dei genitori. Il luogo è fresco gradevole, con un bel panorama. Nella terrazza entrano quattro tavolini, dentro, nella sala, altri tre. I due giovani hanno deciso di arricchire il menu «classico» cubano con alcune specialità messicane, tacos, guacamoles.

«La concorrenza è grande, i prezzi delle materie prime abbastanza alti, ma abbiamo deciso di impegnare i nostri risparmi e gli aiuti inviatici da parenti residenti a Miami (Florida) e cogliere l’occasione per renderci indipendenti e migliorare la nostra vita», afferma la giovane proprietaria, Yanelis. A poco più di cento metri, nel garage del piccolo giardino di casa, un altro giovane, Jesus, ha aperto una pizzeria, la cui insegna sfoggia il verde, bianco e rosso della bandiera italiana, pur non avendo alcun legame con la penisola. Anche Jesus ha deciso di buttarsi nel lavoro por cuenta propria, ovvero privato, tanto «peggio che un lavoro per lo stato a 400 pesos (meno di quindici euro, ndr) al mese non può andare» afferma il giovane pizzaiolo.

La coppia e il giovane sono accomunati dalla volontà di rendersi indipendenti da uno Stato onnipresente, che non lascia (meglio lasciava) nessuno senza impiego, ma con salari che non permettono di arrivare alla fine del mese, nemmenoi dalla «libreta», la tessera che assicura una serie di prodotti di base a costo praticamente nullo.
Solo un paio d’anni fa, un giornalista del quotidiano del partito comunista, [CORSIVO]Granma[/CORSIVO], si lamentava che i cubani sono come piccoli piccioni «che aprono la bocca in attesa che lo Stato vi versi il cibo». Jesus e Yanelis, la pensano in modo diverso, sono pronti a rischiare, «basta che il governo ci dia una piccola chance (un filito, in gergo cubano)».

E non sono solo le nuove generazioni a pensarla in questo modo, ovvero a rimboccarsi le maniche e a lanciarsi nelle acque aperte e agitate del lavoro por cuenta propria abbandonando le acque sicure del porto statale. Secondo i dati forniti dall’agenzia stampa Prensa latina, i lavoratori privati e i loro impiegati hanno raggiunto il tetto delle 400.000 unità, ovvero l’8% della popolazione attiva. In poco meno di due anni, dall’approvazione dei «Lineamenti per la modernizzazione del socialismo cubano», i cuentapropisti nell’isola sono raddoppiati. In gran parte operano nel settore dei servizi, con prevalenza nella ristorazione, e si tratta nella grande maggioranza dei casi di «microaziende» familiari. Ma sul loro sviluppo in quantità e soprattutto in qualità conta il governo guidato da Raúl Castro per portare avanti la riforma che dovrebbe, in sostanza, passare da un modello sovietico, con lo Stato che controlla tutta l’economia, a una produzione più decentralizzata, con diverse forme di proprietà, dalla cooperativa alla privata. I «Lineamenti» prevedono che entro i prossimi tre anni più di un milione di lavoratori dovranno essere dismessi dagli organici statali. Pena il collasso economico, con le relative conseguenze sociali.

All’inizio di marzo, il governo ha fatto un passo decisivo per dare un filito ai lavoratori privati. È stata formata una compagnia statale incaricata di vendere all’ingrosso, sia ai privati che alle aziende statali, una serie di prodotti alimentari e industriali. La richiesta di un mercato all’ingrosso era avanzata da tempo dai lavoratori privati, stretti tra l’incudine degli alti prezzi dei prodotti che dovevano acquistare nei negozi statali e il martello del basso reddito dei cubani che impone di tener bassi i prezzi (per non parlare delle tasse). «È l’ultimo, e questa volta concreto, segnale di come il governo voglia far crescere il settore privato in modo che possa generare nuovi posti di lavoro e permetta di portare avanti la riforma del socialismo cubano», sostiene un economista legato alla Chiesa cattolica dell’isola.

Alla fine dell’anno scorso, secondo dati governativi, nell’isola vi erano 1736 ristoranti privati, 5000 bed and breakfast e migliaia di caffetterie, pizzerie, piccoli negozi e banchetti che vendono prodotti alimentari (panini, dolci ecc). Fino all’inizio di marzo le compagnie statali che controllano la totalità dei prodotti d’importazione all’ingrosso non potevano vendere al settore privato.

Non si sa quanto tempo occorra perché entri in funzione il mercato all’ingrosso per privati. Fino ad allora, buona parte dei cuentapropisti a cui ho chiesto un parere sono restii a mettere da parte lo scetticismo nei confronti di una burocrazia statale onnipresente e potente e spesso corrotta. «È una misura che veniva richiesta a gran voce, finalmente il governo si muove e fa qualcosa di concreto. Ma prima di dare un giudizio aspetto di vedere che cosa verrà messo in vendita e a quali prezzi», mi dice Rosa, una matura signora dalla quale mi rifornisco di pastel di guayava, un dolce assai comune a Cuba.

Comunque qualcosa si è mosso. E oggi i cubani usano parole come mercato, efficienza, redditività, costi e benefici e domanda ed offerta senza paura di scomuniche ideologiche. Ma certamente senza l’appoggio di una parte dell’apparato di Stato e del partito comunista restii – se non decisamente opposti- alla messa in pratica di molti punti previsti dai «Lineamenti» per la riforma del modello socialista cubano. Uno di questi settori è la promessa, ma finora non attuata, informatizzazione della società cubana. L’anno scorso è stato dichiarato operativo il cavo sottomarino proveniente dal Venezuela e che avrebbe dovuto far fare un salto di qualità alla capacità di connessione. Di recente sono stati annunciati sia nuove applicazioni per i cellulari, sia una sorta di Linus, sistema operativo, cubano. Ma di fatto la connessione alla rete e l’estrema lentezza con cui si può navigare continuano, anzi le cose sembrano peggiorare senza che nessuno, in primis il Ministero delle comunicazioni, dia una qualche spiegazione. Tutto quello che attiene a Internet sembra continuare a essere un segreto di Stato. Una situazione questa che rende più problematici i progressi nel settore della produzione privata, ma che colpisce anche il settore strategico del turismo.