Non difetta di acume politico il giovane e spietato principe ereditario saudita. Finito sui carboni ardenti per l’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi e minacciato di sanzioni dall’alleato Donald Trump, Mohammed bin Salman (noto anche come MbS) si è mosso negli ambienti giusti per guadagnare consensi ed evitare l’uscita della scena politica. Dopo aver incassato il sostegno aperto di Israele, MbS ha ricevuto alla fine della settimana passata in Arabia saudita una delegazione di importanti leader cristiani evangelici. Il gruppo è stato guidato da Joel Rosenberg, saggista e attivista evangelico che vive in Israele. Tra gli altri partecipanti Mike Evans, fondatore del Friends of Zion Museum di Gerusalemme. «Siamo soddisfatti dall’invito che ci è giunto dal Regno dell’Arabia Saudita», hanno scritto in un comunicato diffuso al termine dell’incontro «senza dubbio questa è una stagione di tremendi cambiamenti in Medio Oriente e abbiamo avuto l’opportunità di incontrare di persona alcuni leader arabi per capire i loro obiettivi e porre domande dirette. Non vediamo l’ora di costruire qualcosa di solido su queste relazioni e continuare il dialogo».

Il messaggio per Trump è chiaro: Mohammed bin Salman e gli altri leader arabi alleati di Israele e Usa e nemici dell’Iran non si toccano. Punto sul quale qualche giorno fa è stato fin troppo esplicito uno storico predicatore evangelico, Pat Robertson, che ha esortato gli americani a «congelare gli attacchi» all’Arabia Saudita. «Voglio ricordare a coloro che urlano contro i sauditi che quelle persone sono nostre alleate. Il principale nemico in Medio Oriente è l’Iran e i sauditi si oppongono all’Iran. Le sanzioni perciò sarebbero un errore. Non si può far saltare un’amicizia per una persona (Khashoggi, ndr)», ha detto Robertson durante il suo programma tv settimanale 700 Club. E non ha mancato di ricordare gli accordi da 110 miliardi di dollari per la vendita di armi americane ai sauditi Arabia Saudita. «Un sacco di soldi entreranno nelle nostre casse ed è qualcosa che non possiamo perdere, volenti o nolenti», ha aggiunto.
Il principe ereditario sa che l’amicizia dietro le quinte che mantiene con il premier israeliano Netanyahu è la chiave del sostegno che sta ricevendo dai cristiani evangelici più influenti. Sa anche che il vicepresidente Usa Mike Pence, a sua volta un evangelico, non potrà che schierarsi dalla sua parte e frenare coloro che nel Congresso premono per non lasciar cadere nel dimenticatoio le responsabilità di MbS nel brutale omicidio di Khashoggi. Lo sfortunato giornalista non avrebbe mai potuto immaginare che la sua morte avrebbe addirittura portato a relazioni più strette tra l’Arabia Saudita e Israele. MbS ora deve un favore a Netanyahu. Ed è facile immaginare che si darà da fare per aiutare l’offensiva diplomatica che il premier israeliano ha avviato nel Golfo. Zvi Barel, analista del quotidiano israeliano Haaretz, sostiene che la recente visita ufficiale del primo ministro in Oman, dove è stato ricevuto con grandi onori dal sultano Qabus bin Said, sarebbe preparatoria di altri viaggi nel Golfo, dove Israele continua a non avere relazioni diplomatiche ufficiali.

La prossima tappa dell’itinerario di Netanyahu nelle petromonarchie sunnite sarebbe, secondo Barel, nel regno del Bahrain, minuscolo arcipelago in mezzo al Golfo, di fronte all’Iran, sede della V Flotta americana e di una base militare britannica. In un tweet postato venerdì scorso, il ministro degli esteri del Bahrain, Khaled bin Khalifa, ha scritto «Nonostante il disaccordo esistente, Benjamin Netanyahu ha una posizione chiara riguardo all’importanza della stabilità nella regione e del ruolo saudita in tale stabilità». MbS non avrà difficoltà a chiedere o a imporre alla monarchia al Khalifa – tristemente nota per la feroce repressione delle opposizioni – di ricevere quanto prima il premier israeliano. Il Bahrain è uno stato satellite dell’Arabia Saudita, che ha salvato re Hamad bin Isa al Khalifa durante la primavera araba del 2011 quando Riyadh ha inviato forze militari per disperdere – e uccidere – civili che manifestavano pacificamente.