Il 4 giugno, la Corte Suprema spagnola ha bloccato la riesumazione delle spoglie di Franco, ancora sepolte nel mausoleo all’interno del memoriale per i caduti della guerra civile, alle porte di Madrid. I giudici hanno accolto la richiesta della famiglia del dittatore. Il trasferimento del corpo dal monumento al cimitero di El Pardo era stato programmato per lunedì 10 giugno dall’attuale governo spagnolo di Pedro Sanchez. All’operazione si oppone anche il Partito Popolare.

La decisione della Corte testimonia come la dittatura franchista e il periodo subito seguente, in cui si sviluppò il processo di transizione democratica (1975-1978), siano una ferita ancora aperta nella Spagna di oggi. Lo sa bene Fermin Rodriguez: “Sono quasi quarant’anni che aspetto che un giudice dia valore alla mia testimonianza”. Fermin è fratello di Germán Rodriguez, ucciso nel 1978, a soli 23 anni, dalla polizia. Accanto a lui c’è Manuel Ruiz, fratello di Arturo, ucciso a 19 anni, nel gennaio del 1977, dal gruppo paramilitare Cristo Rey. I due hanno viaggiato fino a Buenos Aires per deporre la propria testimonianza, il 5 giugno, di fronte alla giudice argentina Maria Servini, che ha in carico la cosiddetta querella argentina: così è conosciuto il processo aperto a Buenos Aires per i crimini commessi durante la dittatura spagnola di Franco. “Finalmente è arrivato il giorno che aspettavo da tempo afferma Rodriguez prima dell’incontro- Sono felice”.

Ma perché la causa è arrivata oltre oceano? Il motivo risiede nella legge di amnistia del 1977, ancora in vigore in Spagna, che impedisce l’apertura di processi contro i responsabili di crimini commessi durante il franchismo.

Su impulso di Carlos Slepoy, avvocato argentino esiliato in Spagna dopo essere stato torturato sotto il governo di Peron, la causa arriva a Buenos Aires: è il 14 aprile 2010, e un gruppo composto da organizzazioni argentine e spagnole – tra cui l’Associazione per il recupero della memoria spagnola, le Abuelas di Plaza de Mayo, il Centro argentino di Studi legali e sociali insieme a Adolfo Pérez Esquivel, Nobel per la pace nel 1980, presentano al Tribunale di giustizia argentino un atto d’accusa per crimini di lesa umanità, basandosi sul principio di giustizia universale previsto dalla legislazione internazionale.

La querella ha potuto contare sull’importante esperienza argentina rispetto al recupero della memoria in merito ai crimini della dittatura di Videla. Un lavoro compiuto soprattutto dalle Madri di Plaza de Mayo, che coinvolgendo l’intera società e conseguentemente la classe politica, è arrivato all’abrgazione, sotto il governo di Nestor Kirchner, dell’amnistia che proteggeva i criminali della dittatura. Un percorso di giustizia in cui ha avuto un ruolo imprescindibile la Spagna: “A fine anni 90 fu proprio il vostro paese a istruire la causa contro i crimini della dittatura. Ora le parti si invertono. Vi staremo sempre vicine”, ha affermato ‘Norita’ Cortinas di Madri di Plaza de Mayo Linea Fundadora, rivolgendosi ai familiari delle vittime, incontrate presso la Federazione Gallega di Buenos Aires.

Ad oggi, i querelanti – più di 400 – continuano a scontrarsi contro la chiusura della Spagna, che negli anni ha mostrato tutto l’interesse a non aprire alcuno spiraglio: nel 2016 una circolare ordinò a tutte le procure di non collaborare con la giudice argentina, per non entrare in conflitto con la legge di amnistia.

Atti, quelli della Spagna, portati avanti ufficialmente nel nome della ‘riconciliazione’, necessaria, secondo i vari governi e la monarchia, per superare la dittatura e costruire uno stato democratico. Di parere opposto le vittime del franchismo: “Uno stato non può imporre di dimenticare né può obbligare al perdono” afferma Ruiz. Gli fa eco José ‘Chato’ Galante, rappresentante de La Comuna associazione di prigionieri del franchismo – e protagonista del documentario Il silenzio degli altri prodotto da Pedro Almodovar, lavoro che sta contribuendo a diffondere conoscenza sul tema: “La memoria è la storia socializzata di un popolo, per questo è un luogo di conflitto tra differenti interessi sociali”, afferma ‘Chato’, invitato al Festival internazionale di cinema per i diritti umani di Buenos Aires.

In particolare, l’incontro del 5 giugno rappresenta un passo decisivo all’interno della querella: le testimonianze di Rodriguez e Ruiz confermano la persistenza di crimini commessi dai franchisti anche durante il processo di transizione. German Rodriguez fu ucciso durante i ‘fatti di San Fermín de Pamplona’, quando una manifestazione organizzata per la liberazione dei prigionieri politici incarcerati dal franchismo venne repressa nel sangue. Arturo Raiz perse la vita nella feroce repressione dei cortei a favore dell’amnistia per i prigionieri politici, conosciuta come “semana negra” (settimana nera) di Madrid. “Stavo pranzando con i miei genitori. Venimmo a sapere dalla televisione dell’uccisione di mio fratello”, racconta ora Manuel Ruiz, evidenziando che “il suo assassino non è mai stato giudicato. E’ fuggito dalla Spagna, con la complicità delle forze dell’ordine”.

“La struttura repressiva, economica e politica della dittatura di Franco rimasero intatte nel regime democratico instaurato dalla Costituzione del 1978 afferma Jacinto Lara, uno degli avvocati del Coordinamento statale di appoggio alla querella argentina (Ceaqua)- Ci sono persone coinvolte in tutti i tipi di crimini che hanno continuato il proprio lavoro, e spesso sono state promosse”. E’ il caso di Rodolfo Martin Villa, ministro dell’interno dal 1976 al 1979. La giudice Servini ha emesso per lui un ordine di estradizione, accusandolo del massacro del 3 marzo 1976 a Gasteiz. Contro la sua estradizione si è espressa la Audiencia Nacional di Madrid.

Come Villa, sono molti i responsabili di crimini rimasti impuniti: tra loro José Antonio Gonzaléz Pacheco, detto ‘Billy El Nino’, accusato di aver partecipato a torture e omicidi. Una delle persone torturate da Pacheco è proprio ‘Chato’ Galante: “Quell’uomo vive vicino a casa mia, ci separano due vie. Ogni giorno devo convivere con questa presenza, e con l’idea che lui continui a vivere in totale libertà”. Non solo: Billy El Nino continua a ricevere il vitalizio accordatogli nel 1977, e nessuno ha ancora ritirato la medaglia al merito che, lo stesso anno, gli fu concessa dalla Casa reale.

“In Spagna si uccideva la gente, lasciandola in strada per terrorizzare la popolazione – ricorda ‘Chato’ Galante – Ci sono intere generazioni nate nel silenzio. La Spagna deve prendere posizione, per dare davvero senso alla parola democrazia”.