Una bella società civile. Quella che fa del lavoro e della difesa della nostra Costituzione i due comandamenti laici, da riportare al centro dell’agenda nazionale, ieri si è radunata, ancora una volta, a piazza S.Giovanni. Decine di migliaia di persone, raccolte in una manifestazione nazionale forte politicamente, per i suoi contenuti e per il messaggio lanciato, anche se non straordinaria nei numeri. Donne e uomini in cassa integrazione, esodati, precari, altrimenti soli nella disperazione, nel dramma che ormai diventa funesta cronaca quotidiana, hanno ripreso parola, con la rabbia, la determinazione, la voglia di difendere la democrazia, la dignità di ciascuno e di tutti.

Questa carica emotiva interpretata da operai e impiegati della Fiom, accompagnata dalla presenza di quelli di Sel, dei grillini, dei comunisti italiani, tanto più colpisce se paragonata alla paura che il Pd ha persino della propria ombra. Al punto da disertare, con qualche eccezione, la mobilitazione sindacale. Come se in quella piazza non ci fosse il cuore e la ragione della sinistra. E, proprio come ha scritto Maurizio Landini sul manifesto, e ripetuto ieri dal palco, è difficile capire come si può essere al governo con Berlusconi e «avere paura di essere qui». La Fiom combatte una battaglia molto difficile, sull’estrema trincea di un paese che sembra aver smarrito la visione di un futuro civile e democratico. Perché le larghe intese riverberano sulle confederazioni sindacali e c’è il rischio che si torni indietro, su pressione della Confindustria, anche rispetto al diritto di voto sui contratti.

Perché il governo di Pd-Pdl, si stringe nelle maglie di una oligarchia che genera sentimenti populisti. Perché sotto il ricatto berlusconiano, il Pd marcia verso riforme istituzionali utili a manomettere i principi di fondo di una pur esangue democrazia rappresentativa. Perché si va verso la separazione tra democrazia e lavoro, dividendo quel che i costituenti unirono nel primo articolo della Carta. E allora non deve stupire se ieri chiunque prendesse la parola dal palco di S.Giovanni per raccontare la sua condizione di cassintegrato o la difficile vertenza della sua fabbrica, collegava crisi economica e perdita dei diritti costituzionali. Così si spiegano gli applausi verso Stefano Rodotà, e la sua nomina di presidente ad honorem dell’associazione no-profit degli operai dello stabilimento Fiat di Pomigliano. Rodotà sta diventando sempre più punto di riferimento a sinistra, proprio perché la sua storia politica è nel segno della difesa dei diritti, tutti, e della carta costituzionale, che oggi qualcuno vorrebbe cambiare, invece di applicare.

Con una crisi economica che trasferisce la sede della sovranità popolare dal parlamento al mercato, con la perdita di credibilità dei partiti politici, e di quelli della sinistra specialmente, con la difficoltà dei movimenti a trovare nuove forme di partecipazione capaci di fare massa critica, un obiettivo importante – tenere insieme lavoro e democrazia – può tuttavia traballare, fino a mettere a repentaglio la tenuta del paese. E un sindacato come la Fiom rischia di trovarsi quasi solo nella trincea più scomoda e scoperta. Riprendere il filo a sinistra tra questi pezzi di sindacato, di forze organizzate, da Sel a parti della ex sinistra libertaria e comunista, e quella parte del Movimento 5 Stelle che fa della Costituzione punto di riferimento, è oggi la condizione minima per tenere aperta una prospettiva e far esplodere le contraddizioni del Partito democratico. Anche prima del congresso.

Comunque è stato Landini a riassumere perfettamente il senso di un pensiero, di una strategia politica, di una difficoltà: «essere rivoluzionari oggi è fare applicare la Costituzione perché solo da qui potrà partire la ricostruzione sociale e politica del paese». Appunto: un’impresa di questa portata non può pesare solo sulle spalle di una parte del sindacato.