Oggi provvederanno da soli ad «alzare il sipario» sopra di sé tecnici e attori di un mondo che finora ha ricevuto solo l’illusione ottica della mitica «ripresa», un effetto squisitamente teatrale che i nostri governanti hanno profuso nel mare di chiacchiere e di veleni intestini che dovrebbero farci vincere contro il drago maligno del virus. Purtroppo sono state solo chiacchiere, e ancora di là da cominciare a realizzarsi, e che in ogni caso si sono fermate, nell’ascolto e nei provvedimenti, a quella parte dello spettacolo e della cultura, che al governo è più strettamente affine e simbiotica: i grossi enti pubblici garantiti e sinergici, che dallo stato vengono riconosciuti, finanziati e governati, ribalta spesso di grandi interpretazioni di sottogoverno e lottizzazione, centrale e locale. Il governo ha incontrato quei vertici e ha garantito la sopravvivenza delle loro sovrastrutture, e se ne è fatta anche fiore all’occhiello per via mediatica e pubblicitaria. Anche se, a voler essere pignoli, molti che in Italia lo spettacolo vivono e fanno vivere, hanno subito notato che in quella pletora di capoccioni, in eterna competizione, chiamati alle innumerevoli commissioni, commissariati e task force, tra tecnocrati, specialisti e faccendieri, non ci sia mai stato un qualche esperto di cultura, non diciamo un attore o un loro rappresentante sindacale, ma neanche un manager che avesse, e comunicasse, la realtà vera della cultura e dello spettacolo in Italia.

SOPRATTUTTO le sue abitudini e le sue miserie, le sue scritture centellinate col contagocce che non danno mai diritto ad alcuna garanzia né assistenza, anche nel caso di problemi di salute o di inopportunità familiari, o anche di semplici e «casuali» mutamenti produttivi. Figurarsi nel caso di una pandemia grave e prolungata come quella che ha chiuso a casa tutta l’Italia e mezzo pianeta. E con prospettive che le necessarie misure di prevenzione immediata e futura, rendono realisticamente impossibili e irrealistiche, nonostante gli entusiasmi parolai di questi giorni. Lo testimonia (tra le altre iniziative e proteste) una bellissima lettera delle attrici della compagnia Miti Pretese che vale davvero la pena leggere in rete.

ALTRE CATEGORIE, dai ristoratori agli esercenti di pubbliche spiagge, hanno ottenuto di cambiare, o almeno «alleggerire» i connotati draconiani della distanza sociale, con lo sfruttamento più intensivo degli spazi e delle modalità di servizio (e non merita neanche parlare delle facilities ottenute dagli industriali fin dal primo insorgere del Covid). Al teatro restano norme impossibili, aiuti molto «direzionati» (agli enti pubblici e ai carrozzoni che di questa stessa classe politica sono espressione), e una parte, appena percentualmente ridotta, dei contributi ministeriali dell’anno precedente. Del resto l’invenzione del logaritmo che governa i finanziamenti pubblici allo spettacolo era stata opera del ministro Franceschini e del direttore Nastasi, che di nuovo e sempre dirigono ora quello stesso ministero.
Oggi protestano in piazza tutti gli artisti e le maestranze (dalle più umili a quelle più altamente specializzate), tutti ridotti a una inattività esiziale, che in quelle norme non hanno trovato alcun aiuto e riferimento. E stavolta, il «cambio di cartellone» è più difficile in un universo dominato dalle paure collettive.