Perché, oltre al reale, esiste anche il vero? Nel corso Subjectivité et vérité, tenuto al Collège de France nel primo trimestre del 1981 e appena pubblicato in Francia (a cura di Frédéric Gros, Seuil/Gallimard, pp. 335, euro 26), Michel Foucault ci invita a stupirci dell’esistenza di qualcosa come la verità. La verità, infatti, non è inscritta nel cuore del reale, in quanto suo attributo essenziale e originario, ma si aggiunge al reale. La verità è un «evento storico singolare», essa accade alle cose, viene prodotta a proposito del reale, e non scoperta nei suoi recessi. Tale produzione ha conseguenze rilevanti, in particolare per il soggetto. Ed è proprio di questo che Foucault parla in Subjectivité et vérité: di come, a partire da un certo momento della storia dell’Occidente, la verità si sia appuntata al soggetto, e di come al soggetto sia stato imposto di scoprire la verità a proposito di se stesso.
Soggettività e verità, dunque. La peculiarità di questo corso, tuttavia, risiede nell’esplorare e nel manipolare tale coppia concettuale a partire da un terzo «polo», il sesso – giacché, secondo Foucault, è solo ricostruendo le peripezie storiche del sesso, del piacere e del desiderio che è possibile comprendere in che modo la verità si sia incrostata sul soggetto, e lo abbia costituito in relazione a una profondità (a un’«interiorità») che essa stessa ha provveduto a scavare; in che modo, insomma, sia emerso un soggetto al quale è richiesto di tenere un discorso vero, di confessare la verità a proposito di una parte di se stesso – la «sessualità» – considerata indissociabile da ciò che egli è. Un compito che si rivelerà particolarmente arduo.
Da un lato, infatti, Subjectivité et vérité mette radicalmente in discussione la tesi di una cesura netta tra l’Antichità greco-romana e il cristianesimo, schiacciati su un semplicistico schema binario che oppone la libertà all’austerità, il godimento alla rinuncia. Non solo la morale sessuale antica era già caratterizzata da percetti austeri e da numerosi interdetti, ma, secondo Foucault, l’idea stessa di coppia eterosessuale sposata come unico luogo nel quale può essere esercitata un’attività sessuale «legittima» è stata elaborata ben prima del cristianesimo. Essa si riscontra in molti trattati stoici di epoca imperiale, nei quali, inoltre, la nozione di desiderio viene dissociata da quelle di atto e piacere, ricevendo così una valorizzazione autonoma, preludio del ruolo chiave che rivestirà la «concupiscenza» nel cristianesimo.
D’altro canto, però, il lavoro genealogico che Foucault compie in questo corso fa emergere anche la radicale eterogeneità dell’esperienza antica degli aphrodisia (le opere di Afrodite) rispetto all’esperienza cristiana della «carne» e a quella moderna della «sessualità». Solo che il discrimine non è rappresentato dalla costituzione della morale coniugale o dall’emergenza del concetto di desiderio, ma da un’idea totalmente differente della verità e della soggettività, e da una diversa configurazione dei loro rapporti. Se il cristianesimo (così come, più recentemente, la psicoanalisi) obbliga l’individuo a verbalizzare i propri desideri al fine di scoprire la verità più profonda di se stesso, al fine di scoprire chi è veramente, nella cultura greco-romana il soggetto di desiderio non è mai pensato come oggetto di conoscenza. Gli aphrodisia, infatti, non sono né proprietà di natura, né dimensioni della soggettività, bensì una serie di atti caratterizzati dall’intensità del piacere che provocano nell’individuo, e che richiedono per questo un lavoro di «stilizzazione» che scongiuri il rischio di una perdita del controllo di sé. Insomma, nel mondo antico, gli aphrodisia sono l’oggetto di un’«arte di vivere», la materia sulla quale l’individuo è chiamato ad applicare una serie di «tecniche di sé» (per questo il rinvio è a L’origine de l’herméneutique de soi, Vrin) per costruire un rapporto con se stesso che sia dell’ordine della padronanza, e non un segreto profondo che costituirebbe la verità della sua soggettività. È così che, nelle mani di Foucault, la «storia della verità» assume una portata squisitamente etico-politica.