Se è vero che le rivoluzioni si consumano in quel confine incerto tra realtà e immaginario, rovesciando e destabilizzando entrambi, la liberazione sessuale che trovò il suo suggello nelle pratiche, teorie, immagini del Sessantotto è oggi un archivio potenzialmente infinito.

Narrazioni e gesti provocatori depositarono il loro linguaggio nuovo in primis su carta e video (libri, fumetti, film), e poi, sulla pelle degli «adepti», ragazze e ragazzi ansiosi di sperimentare l’uscita dalle regole, l’incontro con il piacere, la lontananza siderale ed eroticissima dal tabù religioso e colpevolizzante.

Così, al centro della mostra che si è aperta a Palazzo Magnani, nella cornice del Festival di fotografia europea, a Reggio Emilia, più che i corpi – che pure abbondano, nudi, in piena esplosione ormonale, in atti amorosi disinibiti, in apparizioni porno clandestine (come quelle scandinave che conquistarono la scena negli anni Sessanta), vivificati dall’ironia corrosiva dei fumettisti – c’è il fiorire impazzito di pubblicazioni, con protagonista assoluta l’utopia dell’orgasmo senza divieti, vissuto come un diritto inalienabile. Un’estasi non più solo maschile, ma anche femminile.

Sex&Revolution, a cura di Pier Giorgio Carizzoni, con la direzione scientifica di Pietro Adamo (catalogo con molti contributi critici uscito per Skira), è una rassegna che indaga i comportamenti sessuali di una generazione che raccoglieva l’eredità dei suoi precedessori e s’incamminava in cerca di una identità nuova, gettando alle ortiche gli insegnamenti borghesi e provando a ripartire da sé.

Lo fa attraverso testi, filmati, locandine cinematografiche, fotografie, pièce teatrali, riviste patinate come Playboy e Le ore, sex toys vintage, pratiche di bondage pubblicate su Lolly Strip, performance provocatorie che mixavano kamasutra e visioni psichedeliche. Il percorso espositivo, quindi, non può che essere variegato, anche dal punto di vista cronologico.

Si parte con un nume tutelare scomodo: è Wilhelm Reich (1897-1957), psichiatra e psicoanalista eccentrico, allievo di Freud e poi outsider, bandito da tutte le comunità scientifiche. Fu lui a inventare la cabina orgasmica, dove il paziente aspettava l’accumulo di energia orgonica per liberarsi dalla sua nevrosi, un dispositivo questo che lo portò all’arresto per frode in America, tanto che il «medico impostore» (come fu etichettato) morì in carcere per un attacco di cuore.

La sua eredità però non cadde nel vuoto. Passò per le mani della Beat Generation – più volte Allen Ginsberg e William Burroughs gli riconobbero un ruolo decisivo – mentre, anni dopo, durante le manifestazioni del Maggio francese, gli studenti tiravano i suoi libri (Psicologia di massa del fascismo e Rivoluzione sessuale) come gesto anarchico e di ribellione ai codici sociali. C’è anche il biologo e zoologo Kinsey a spianare la strada verso la liberazione del piacere: dopo aver passato una vita a studiare le vespe, cambiò registro e scrisse un controverso rapporto sulle abitudini sessuali di uomini e donne statunitensi, sbriciolando gli imbarazzi accumulatisi in anni di prediche nelle chiese protestanti e cattoliche.

Da noi, il reportage più bello fu senz’altro Comizi d’amore di Pasolini (1965) in cui il regista, microfono in mano puntato davanti a sé, fotografava un intero paese interrogandolo sulla «prima volta», la prostituzione, i segreti del matrimonio, l’omosessualità e le tentazioni di divorzio.

Non potevano mancare poi in mostra le prime edizioni di una letteratura bollente, come quell’odiatissimo (all’epoca) Tropico del cancro di Henry Miller. Il romanzo, sorta di autobiografia ad alto tasso erotico, divenne una bestia nera negli Stati uniti dove fu bandito fino al 1961 (uscì in Francia nel ’34) e costò 40 processi ai librai che provarono a proporlo fra i loro scaffali. Ma gli studenti universitari non lo persero di vista e Miller cominciò a girare vorticosamente sottobanco.

Infine ci fu Woodstok, il festival dell’amplesso libero, preferibilmente da stonati e con la musica rock a elettrizzare la pelle. Ma a «siglare» quel periodo fu la coppia John Lennon-Yoko Ono con la performance Bed in: nel 1969, per protesta contro la guerra del Vietnam, «aprirono» alla stampa la loro luna di miele nella stanza 702 dell’Amsterdam Hilton Hotel, dalle nove di mattina alle nove di sera. Ma non riuscirono a soddisfare i voyeur: niente sesso, i due in pigiama e tranquilli discettavano di «peace and love».