Dice Massimo Filippi – curatore con Alessandro Dal Lago dell’ultimo numero della rivista trimestrale di filosofia e cultura aut aut dedicata a «Mostri e altri animali»: «I corpi sono assemblaggi/concatenamenti di corpi, materia, relazioni e memoria. Sono costellazioni, reliquie, vortici, sintomi, anacronismi, contrattempi, sopravvivenze. In una parola: mostri. E che, ci piaccia o no, anche ’noi’ siamo animali e, quindi, mostri».
Qui però più che un piatto ribaltamento normale-mostro, il riferimento va inteso come un invito a scegliere la potenza sovversiva del mostro per una trasformazione in senso politico dell’ideologia capitalista.

SE IL «TIPO NORMALE» è il risultato di un processo di normalizzazione di mostruosità, oggi però assistiamo sempre più spesso alla capacità del potere di mettere a valore il mostro e il difforme: perché distruggerli se si possono sfruttare?
Il riferimento va non solo agli esiti della moderna zootecnia che sa avvantaggiarsi a fini produttivi del vivente, come illustrato nell’articolo di Benedetta Piazzesi, bensì anche alla potenza di cattura – di tutto ciò che è difforme, strano, unico – ad opera delle tecnologie del dominio contemporaneo che nelle nostre vite digitali non smettono di mostrare il loro volto seduttivo e «colonico».
Si pensi alla dinamica della mitica «fuga circolare», in cui si scontrano la magia ancestrale del mutamento – del mostruoso e del proteiforme – e la forza eroica dell’antimutamento. La creatura magica si trasforma, cercando di sfuggire all’agguato, manifestando i sembianti più disparati. A nulla valgono le sue trasmutazioni perché stretto nella morsa costante di un potere dominante.
L’epilogo è chiaro: l’eroe vince sul mostro, in quanto agisce una «reductio ad unum». Un buon esempio ne è la tecnologia del profiling in cui ogni azione e inclinazione è ben accetta, perché in ogni caso sarà all’opera un potere che annota e registra – in direzione dell’analisi di ingegneria sociale che è sottesa alle piattaforme. Si catalogano azioni e identità, il mostro viene catturato e sconfitto perché fissato nella sua ipseità si fa riconoscibile.

O FORSE QUI il mostro è rappresentato proprio dalle mega-macchine corporative – come anche dalla zootecnia – che tendono a incorporare l’altro, attraverso meccanismi di scrittura e privatizzazione. Ma se ogni osservazione è relativa agli strumenti di misurazione utilizzati, nessuna descrizione, per quanto dettagliata, può mai rendere conto perfettamente della realtà osservata. La realtà eccede, ecco un ennesimo altro volto del mostro. Ad ogni modo, questa figura continua a chiederci di noi, a farci da specchio domandandoci ciò che siamo e non siamo.
Forse il problema del mostro sta proprio nel performare, consapevolmente o meno, il gioco dell’identità, con i rischi che comporta. Allora, se così fosse, per ritrovare una libertà trasformativa dovremmo chiederci come smettere i panni del mostro, come farci irriconoscibili per accordarci finalmente all’indistinto e all’incompiuto.