La lettera partirà oggi, probabilmente in tarda serata, dopo il consiglio dei ministri, nell’ultimo momento utile prima della scadenza dell’«ultimatum» europeo. Cosa ci sarà scritto ancora non si sa. Interrogato in materia Salvini risponde a muso duro: «Chiedete a Tria. Ma i fondamentali non si toccano. Se uno vuole spostare una x dalla spesa corrente agli investimenti parliamone pure. Ma la manovra non cambia per le letterine di Bruxelles». Toni bruschi che permettono di cogliere l’ennesimo braccio di ferro tra il ministro dell’Economia e i due padroni del governo, divisi su quasi tutto, tanto da non parlarsi nemmeno pur trovandosi nella stessa mattinata a palazzo Chigi, ma ancora concordi e solidali sulla manovra.

TRIA QUALCOSA VORREBBE cambiare: altra via per riaprire uno spiraglio con Bruxelles non c’è e il rallentamento generale dell’economia lo impone. Non il deficit al 2,4%: quella è la bandiera e il ministro ha toccato con mano quanto sia impossibile modificarlo, avendoci già provato prima e dopo il varo del Def. Ma almeno le previsioni di crescita, fisse su un inarrivabile, salvo miracoli, 1,5% le vorrebbe ridimensionate. E’ lì che si appuntano critiche e dubbi generalizzati. Non solo quelli della commissione Ue ma anche dell’Fmi, della Bce, di Bankitalia, delle agenzie di rating. Spostare la previsione di un paio di decimali, se non proprio l’1,2% indicato dalle previsioni europee almeno l’1,3%, sarebbe un segnale politico forte, potrebbe aprire la strada a una nuova trattativa sullo sforamento del deficit stavolta in nome delle calamità naturali, da sempre uno dei principali alibi per chiedere e ottenere flessibilità.

Ancora ieri sera il semaforo della Lega e di M5S restava però rosso fiamma: mantenere intatto il deficit modificando la previsione di crescita vorrebbe dire cambiare la manovra inserendo tagli massicci. Inaccettabile per Salvini, per Di Maio e di conseguenza anche per Conte. Quello che il governo gialloverde vuole concedere non va oltre il rallentamento e un parziale «svuotamento dall’interno» delle riforme in cantiere e una più marcata accentuazione degli investimenti. Alla commissione forse non basterebbe neppure la modifica delle previsioni di crescita. A Bruxelles la risposta dell’Italia, se non cambierà oggi nel corso di una giornata tesa, aperta dal vertice con Conte sulla risposta alla Ue e chiusa dalla riunione del governo che dovrà licenziare la lettera, suonerà come una nuova dichiarazione di guerra.

IERI UNA RAFFICA DI NUOVE bocciature si è abbattuta sulla manovra. Va però detto che le stime dell’Ufficio parlamentare di bilancio, longa manus della Ue nel Parlamento italiano, sono sensibilmente più ottimistiche di quelle di Bruxelles: prevedono un deficit al 2,6%, invece che al 2,9% come nelle previsioni della commissione. E’ un appiglio per il governo e non è escluso che si tratti anche di un preciso segnale politico, compensato però dalla conferma di una previsione di crescita all’1,1%, peggiore di quella stimata dalla Ue, e soprattutto dal calcolo dei costi dell’intervento sulla Fornero: quota 100, secondo l’Upb, potrebbe riguardare 437mila persone, portando così i 7 miliardi previsti per la riforma sino a 13.

Al coro già foltissimo si sono aggiunti ieri l’Istat – secondo cui per una crescita dell’1,2 nel 2018, come prevede il Def, sarebbe necessaria una variazione congiunturale del Pil dello 0,4% nel quarto trimestre dell’anno – e la Corte dei Conti. Ma anche un acuto imprevisto: quello dei vescovi. «Se si sbagliano i conti non c’è una banca di riserva che ci salverà», dice il presidente della Cei Bassetti, sottolineando i rischi per «famiglie, risparmiatori, imprese». E’ la prima volta che i vescovi entrano nel campo delle scelte economiche così a gamba tesa.

SI PREPARANO DUNQUE nuove giornate di passione. Ieri lo spread ha superato quota 300 arrivando a 306 punti. Il conflitto con l’Europa, che inevitabilmente si aprirà da domani, non aiuterà a domarlo e la mina più pericolosa, quella dei riflessi sulle banche, inizia a brillare. Carige dovrà essere salvata. Per tutto il giorno c’è stata incertezza sulla disponibilità a intervenire del fondo salva banche, cioè delle principali banche che ci versano soldi. Alla fine il salvataggio ci sarà ma lo scricchiolio resta più che allarmante.