Chiudere tutti gli stabilimenti della Riva Acciai è stato «un atto dovuto», affermano dalla società. Eppure, i calcoli non tornano. Perché l’operazione della Guardia di Finanza, ha portato al sequestro di beni immobili per un valore di oltre 456 milioni di euro, di azioni e quote societarie per circa 415 milioni di euro, e disponibilità finanziarie per appena 45 milioni di euro. Ora, credere che una società come la Riva Acciai venga messa in ginocchio perché perde bene immobili e azioni finanziarie è quanto meno discutibile. Del resto, del miliardo e duecento milioni che le fiamme gialle avevano sequestrato nei mesi scorsi al gruppo (a fronte degli 8,1 miliardi sui quali la procura tarantina vorrebbe mettere le mani), una minima parte (poco meno di 500mila euro) era rappresentata da disponibilità finanziaria: tutto il resto era frutto di patrimonio immobiliare della Riva Fire e dell’Ilva Spa.

Il vero impero economico del gruppo lombardo, come dimostrano le tante operazioni finanziarie portate a termine dal luglio 2012 e come emerge dall’indagine della procura di Milano, è nascosto nelle holding offshore del gruppo. A fine agosto altri 700 milioni di euro appartenenti alle famiglie di Emilio e Adriano Riva furono scoperti dalla Guardia di Finanza di Milano nell’isola di Jersey, paradiso fiscale situato nel Canale della Manica. I soldi sarebbero stati depositati in una rete di trust i cui beneficiari sono i due imprenditori siderurgici e i loro otto figli. Al momento dunque, sono oltre 2 i miliardi di euro che i Riva avrebbero portato all’estero appropriandosi indebitamente, secondo la tesi della procura di Milano, di fondi dell’Ilva Spa e della Riva Fire. Come si ricorderà, nel maggio scorso (proprio pochi giorni prima del sequestro per equivalente ordinato dalla giudice per le indagini preliminari di Taranto, Patrizia Todisco) il gip Fabrizio D’Arcangelo dispose il sequestro, su richiesta del sostituto procuratore Stefano Civardi, di 1,2 degli 1,4 miliardi di euro rintracciati in alcuni trust di Jersey. Gli inquirenti di Milano sono convinti del fatto che l’impero economico nascosto all’estero dai due imprenditori siderurgici, indagati per truffa aggravata ai danni dello Stato e intestazione fittizia di beni, sia molto più consistente. La procura di Milano ha inoltre scoperto che la Luxpack, holding caraibica che controlla la Ilva Spa, è a sua volta posseduta da un trust con sede a Jersey: il Master Trust. I beneficiari economici del Master Trust sono altri otto trust (tutti di Jersey) i cui beneficial owner sono i figli di Emilio e Adriano Riva. La proprietà dell’Ilva è quindi schermata da sette società o trust collocati rispettivamente in Italia, Lussemburgo, Olanda, Curaçao e Jersey. Infine, gli inquirenti hanno scoperto l’esistenza di altri due trust: uno alle Bahamas e l’altro in Nuova Zelanda, entrambi riconducibili alla famiglia Riva. Che prima di minacciare chiusure e azionare rappresaglie contro i lavoratori, dovrebbe spiegare a quanto ammonti realmente il suo patrimonio. E soprattutto dove esso si trovi. Ma difficilmente ciò accadrà.