L’Istat ha da poco pubblicato i conti economici trimestrali (agosto). L’opinione pubblica è stata investita da considerazioni e opinioni abbastanza rassicuranti: il PIL acquisito per il 2021 sarebbe pari a 4,7 punti percentuali. Questa crescita è stata sostanzialmente attribuita al buon governo in generale e al presidente del consiglio (Draghi) in particolare.

Questa rappresentazione da conto di una narrazione diffusa e tesa a sottolineare quanto e come Draghi abbia permesso una inversione di tendenza nelle principali variabili economiche.

Non discuto delle narrazioni veicolate; nel caos politico e mediatico l’austerità di Draghi appare come saggezza ed è sempre più avvicinata al buon padre di famiglia. Draghi ovviamente rimane guardingo; qualche volta suggerisce che si potrebbe fare di meglio e, in generale, tende a rassicurare una parte del Paese.

L’economista Draghi non parla ed evita accuratamente di analizzare certe statistiche; le contraddizioni rispetto alla crescita del Pil acquisita sono così profonde che la sola analisi potrebbe far emergere «chi e che cosa» condiziona il Paese.

Provo fare alcune semplici considerazioni al fine di far emergere almeno le domande che un qualsiasi buon governo dovrebbe farsi.

Utilizzerò la stessa serie storica dell’Istat per evitare fraintendimenti, così come delle «osservazioni» limitate per rendere plausibili la statistica messa a disposizione dal nostro e prezioso istituto statistico (2016-2019). Infatti, il 2020 e il 2021 sono troppo anomali per realizzare una buona rappresentazione del Paese.

Fate un piccolo sforzo per catturare alcuni numeri e per comprendere le contraddizioni intrinseche alla crescita del Pil pari al 2,9% tra il 2016-2019. L’informazione più semplice d’acquisire è relativa alla dinamica dei consumi pari all’1,9% (2016-2019). È una statistica nota, ma è sempre bene ricordarla: i consumi non crescono nemmeno quanto e come il Pil. Dietro questo movimento si cela la dinamica dei salari e il lavoro povero.

Sebbene la specializzazione produttiva del paese sia povera e quindi incapace di realizzare una crescita almeno in linea con quella europea, chiedere che i consumi (salari) crescano almeno quanto il Pil dovrebbe far parte del manuale di qualsiasi economista mainstream. Gli economisti classici sono un’altra cosa.

Gli economisti dovrebbero anche sollevare delle questioni, e se sono al governo suggerire delle riflessioni.

Proviamo ora a combinare andamento degli investimenti fissi lordi e quello dei beni strumentali con la crescita del Pil. Qui le cose si complicano. Ovviamente certa pubblicistica veicola l’idea che il sistema economico privato non investa sul futuro. Non credo a questa narrazione, ma convengo che il sistema economico nazionale (privato) sia tecnicamente impossibilitato a misurarsi con il futuro.

Qualora fossi il Ministro dell’economia osserverei alcune non banali stranezze: gli investimenti fissi lordi nello stesso periodo (2016-2019) sono cresciuti del 7,6%, mentre la parte nobile degli investimenti legati ai beni strumentali hanno segnato un aumento eccezionale pari a 11,5%.

Come si spiega la dinamica degli investimenti e l’andamento del Pil? Ma è possibile che il sistema economico privato nazionale debba investire più del doppio, in termini di variazione percentuale, per ottenere questa modesta dinamica del Pil? Il rapporto 2 a 1 per gli investimenti fissi lordi e addirittura 4 a 1 per gli investimenti in beni strumentali è giustificabile?

Il Pnrr del paese non riflette su queste evidenti contraddizioni, così come la discussione sulla prossima Legge di Bilancio.

Invece di evocare la salvifica forza di persone e strutture del paese, forse dobbiamo riflettere sul perché gli investimenti nazionali hanno un moltiplicatore così basso.

Capisco che la discussione internazionale e nazionale sia eterodiretta da crisi «internazionali» e da uno scandalo nazionale al giorno, quando va bene, ma ignorare e non discutere di certe informazioni e contraddizioni non aiuta proprio nessuno.