Entro il 10 aprile il parlamento riceverà il Documento di Economia e Finanza (Def) elaborato dal governo. Il ministro Padoan ha parlato di un «documento tecnico», che, limitatamente ai conti pubblici, comprenderebbe solo il cosiddetto «quadro tendenziale».

Significa che, rispetto al deficit e al debito, agli interessi ed al saldo primario (rapporto tra entrate e uscite dello Stato al netto degli interessi che paghiamo sul debito pubblico), nel testo verrebbero esposte solo le nude previsioni statistiche per l’anno in corso ed i prossimi anni, senza calcolare su di esse l’impatto delle politiche pubbliche («quadro programmatico»).

Per gli obiettivi futuri e l’eventuale manovra di aggiustamento se ne riparlerebbe, in questo modo, a maggio (o in sede di aggiornamento del Def a settembre), contando che fino ad allora un nuovo governo si sarà insediato.

Una via obbligata, «normale e standardizzata» secondo Bruxelles, visto che il governo è in carica per il «disbrigo degli affari correnti» e le elezioni hanno prodotto un profondo mutamento del quadro politico.

QUELLO CHE PADOAN NON DICE – e che non dicono nemmeno i vincitori delle elezioni – è che questo documento, a differenza dei documenti di programmazione della Prima Repubblica, vincola la politica economica del governo al conseguimento del pareggio di bilancio.

Tecnicamente, si parla di «Obiettivo di medio termine», ovvero di un deficit «compreso tra lo 0,5 per cento del Pil e il pareggio o l’attivo». Laddove per deficit si intende quello «strutturale», calcolato non sul Pil reale, bensì su quello «potenziale», nel caso l’economia girasse al massimo possibile.

Lo stesso «quadro tendenziale» di cui ha parlato Padoan, quindi, non è altro che una stima relativa all’andamento dei conti pubblici nell’ambito del «percorso di avvicinamento all’Obiettivo di bilancio a medio termine», così come disposto dal fiscal compact.

Non una semplice tabella statistica, per intenderci, ma la base da cui partire per raggiungere il risultato del pareggio finanziario. Se la «tendenza» dice che il risultato è a portata di mano, si chiedono meno sacrifici; viceversa, se la meta si allontana, bisogna inasprire le misure di austerità.

PERALTRO, TALI STIME DOVRANNO essere messe a confronto con gli impegni derivanti dal «quadro programmatico» dell’anno precedente, che, nello specifico, prevedeva una riduzione del disavanzo pubblico dal 2,1 all’1,6% del Pil per l’anno in corso (0,9% nel 2019, 0,2% nel 2020). Nel triennio, una correzione di bilancio del valore di 30 miliardi di euro, su cui pende – è bene ricordarlo – la ghigliottina delle cosiddette «clausole di salvaguardia», ovvero l’aumento automatico (1 gennaio 2019) delle aliquote Iva e di altre accise, qualora i tagli alla spesa o l’aumento delle entrate non siano sufficienti per il conseguimento degli obiettivi di finanza pubblica concordati.

Si può disinnescare questa bomba? Sì, a patto che si trovino 12,4 miliardi, quanto è stato previsto che lo Stato incasserebbe dal verificarsi di questa evenienza.

IN CAMPAGNA ELETTORALE, SIA la Lega e che il M5Stelle hanno tuonato contro i vincoli europei, non escludendo, in caso di vittoria, uno sforamento del 3% di deficit sul Pil, la soglia massima prevista dai parametri di Maastricht. Significherebbe, di fatto, una sconfessione del fiscal compact, una rottura unilaterale del patto di bilancio europeo. A differenza della Francia, che, dopo dieci anni, l’anno scorso ha chiuso col deficit sotto il 3% (al 2,6%), il nostro paese non solo fermerebbe la marcia di avvicinamento al pareggio di bilancio, ma tornerebbe indietro al 2012.

Fantastico. Per la Commissione, però, un’eventualità semplicemente inaccettabile. «Non ci intrometteremo nel processo democratico, ma l’Italia deve rispettare le regole e abbassare il debito», è stato il monito di Pierre Moscovici, il commissario agli affari economici della Ue.

Ma una cosa sono le campagne elettorali, altra cosa sono le «responsabilità» di governo. E in questi giorni ne stiamo avendo ampia prova. Più verosimilmente, saranno proprio gli impegni con l’Europa e le scadenze di bilancio a condizionare e, forse, ad accelerare la nascita del prossimo esecutivo, con le principali forze politiche costrette ad ingoiare un po’ di rospi su richiesta di Bruxelles e di Mattarella.

Un governo «di scopo», come si dice in questi casi.