Cin-cin Milano. Se la stanno bevendo i cinesi. C’è già chi si prepara a un altro brindisi, da fare con chi gli è rimasto fedele. «Berlusconi ormai si fida solo di Fedele Confalonieri. E poi, certo, dei figli». Lo racconta chi da anni ha libero accesso ad Arcore, lo confida con «affetto» e un certo distacco. Racconta di Confalonieri che ripete al capo di «vendere in fretta il Milan», di «lasciar fare a Renzi quel che vuol fare». E lo conforta in una scelta che l’ex Cavaliere sta meditando da qualche mese: «Dico basta alla politica, almeno a un ruolo attivo, farò ancora qualche anno il presidente onorario, di Forza Italia e magari sì, anche del Milan, almeno fino a quando questi comunisti mi lasceranno fare». Questa volta i «comunisti» arrivano da lontano. In realtà hanno il volto di un finanziere thailandese, Bee Taechaubol. E’ lui che vuole comprare il Diavolo. Domenica è arrivato a Milano, si è fatto fotografare davanti al Duomo, dove a fianco della Madonnina ora sventola un tricolore. Oggi inconterà Berlusconi. Nelle prossime ore mister B potrebbe spegnere una delle più formidabili macchine da guerra del ventennio berlusconiano: il Milan degli Invincibili.

C’è un thailandese e poi sì, anche un cinese, un arabo e soprattutto il fondo di investimento che fa capo a un manager del calcio globale, il portoghese Nelio Lucas. Ci sono un thailandese, un arabo un portoghese e un cinese, ma questa non è una di quelle barzellette che il presidente amava raccontare quando il suo Milan faceva tremare il mondo. No, adesso l’(ex) Cavaliere Nero atterra nel centro sportivo con l’ormai consueto look total black e non ha voglia di scherzare. Una delle ultime volte che ha parlato alla squadra, prima del malinconico derby contro l’Inter, ha improvvisato un improbabile discorso parlando di un «derby spartiacque». Sembrava che nessuno lo ascoltasse davvero, annuiva solo l’allenatore Pippo Inzaghi, un altro dei fedelissimi capace di deluderlo, sempre più in bilico dopo la sconfitta di Udine. Berlusconi parlava alla squadra più per dovere che per voglia. La battuta migliore la confidava a un vecchio collaboratore, uno di quelli che da sempre hanno le chiavi di Milanello. «Non ce la faccio più a sopportarli, pur di togliermi questo peso sono costretto a vendere il Milan a quei terribili comunisti, ma ti rendi conto?». E adesso l’uomo del Diavolo confida questa verità con le lacrime agli occhi, perché pure lui questi «comunisti» non li sopporta.

L’agonia

Ci sono un thailandese, un portoghese, un arabo e un cinese (ovviamente comunista) e la storia di una vendita annunciata non è cosa recentissima. L’ultimo atto va in scena alla fine di gennaio durante una cena di famiglia (Berlusconi) ad Arcore, un lunedì, prima di un incontro con Matteo Salvini. La notizia viene riportata il 21 gennaio 2015 solo da due quotidiani. Il più diffuso tra i due è Repubblica. Gli altri attendono fiduciosi la smentita di Silvio. Che arriva nel primo pomeriggio e per una volta porta la firma del capo. In sintesi: «Solite voci prive di fondamento». I giornalisti di famiglia – e non solo – fanno a gara per ridicolizzare l’anticipazione. Sono dettagli di un sistema di disinformazione che ha funzionato per almeno un ventennio. Voci di sottofondo, la sostanza è diversa, quello che sta accadendo è chiaro a tutti. Quasi a tutti. Siamo ancora al 21 gennaio, tre mesi fa. Papà Silvio dice ai figli «vendiamo il Milan». Marina è euforica, Pier Silvio soddisfatto, Barbara così incazzata che la sua auto esce a tutta velocità da villa San Martino, il volto dell’ad rossonero è nascosto dai vetri oscurati. A Barbara non basta la promessa di papà di trovarle un posto in Mondadori Libri. Ma quello che l’esuberante figlia ancora non sa è che c’è dell’altro.

Non solo il presidente ha deciso di vendere, ma ha già avviato una trattativa con mister B e con i suoi soci cinesi. I primi seri contatti risalgono a metà 2014. Sono giorni strani, storie che si incrociano. Sono i comunisti che si bevono Milano: prima l’articolata operazione bancaria che ha portato in Cina la Pirelli, ora il Milan. E poi nel capoluogo lombardo sta per iniziare l’Expo delle «eccellenze alimentari». Non si capisce il motivo, ma gli autogrill mettono in funzione nuove macchine per il caffè americano. «In vista dell’Expo», spiegano dietro al bancone. Però tutti sanno che il vero business è atteso dalla Grande Muraglia e anche le riviste più attente fanno un «viaggio a Pechino per scoprire perché verranno a Milano». Tra «gastronomia, turismo, shopping, ma soprattutto affari, sperando che made in Italy tiri ancora».

Il Milan tira e attira i capitali stranieri. L’ex Cavaliere ha deciso di sbarazzarsi di una squadra di (ex) campioni. La strada prescelta è quella di capitali che entrano in Italia dall’estero: decisione prioritaria, probabilmente inderogabile. La Fininvest ha chiuso il 2013 con una perdita di 428,4 milioni. Pesa la condanna definitiva per il lodo Mondadori: 491,3 milioni. E’ un dettaglio che i Berluscones non si stancheranno mai di ricordare. La Fininvest è il forziere di famiglia, dentro al quale sono “conservate” Mediaset, Mediolanum, Mondadori e appunto Milan. Il club rossonero, nel cda che si è tenuto ieri, ha ratificato perdite per 91,3 milioni. Solo per l’anno solare 2014. E’ il peggior risultato dal 1986. «Vendere», ripete Marina. «Vendere, subito», consiglia da mesi Confalonieri. Adesso i debiti complessivi ammontano a 246,8 milioni. Vero, dieci in meno rispetto all’anno precedente. Sempre troppi per i precari equilibri Fininvest. E per gli incerti scenari politici.

Il thailandese Bee Taechaubol vorrebbe chiudere al più presto: pronti 189 milioni per acquisire subito il 30%. Per poi raddoppiare la quota con un aumento di capitale riservato. Sull’offerta potrebbe giocare le sue ultime carte l’antagonista di mister Bee. Sarebbe quello preferito dagli amministratori delegati Barbara Berlusconi e Adriano Galliani. E nelle ultime ore anche dal presidente Berlusconi. Si tratta di una cordata ancora misteriosa assemblata da Richard Lee, uomo d’affari di Hong Kong, già importatore di Ferrari e imprenditore del lusso. Si parla già di un nuovo allenatore: c’è chi dice che il sogno sia Carlo Ancelotti, ora al Real Madrid. Impossibile. L’alternativa più stimolante si chiama Maurizio Sarri, allenatore dell’Empoli, uno bravo davvero. «Certo che voto a sinistra, ma non Renzi», ha dichiarato il tecnico toscano a dicembre in un’intervista.«Troppo comunista», ha messo il veto Berlusconi. Fin che può non molla.

1992, la pre-historia

Ora riavvolgiamo il nastro. Su Sky si è appena conclusa la serie «1992». Stefano Accorsi impersona Leonardo Notte, manager di Publitalia che spinge uno scettico Marcello Dell’Utri a lanciare Forza Italia. Notte si convince che Berlusconi debba scendere in campo guardando in tv l’immagine vincente del cavaliere nella stanza dei trofei, pronto a commentare i primi successi del suo Milan. C’è del vero in questa ricostruzione. Come è vero che l’allora costruttore voleva acquistare l’Inter. Poi il 20 febbraio 1986 iniziò a prendersi il Milan. Con lui il Diavolo ha vinto tutto. «Ventotto trofei in ventotto anni», amavano ripetere a Milanello. Ora gli anni sono 29, non è male, comunque. Ma è stata la campagna acquisti il vero asso nella manica del rapporto Milan-politica. Serviva far vincere a Bobo Maroni le regionali e rafforzare il consenso in Lombardia? Ecco che il 31 gennaio 2013 i tifosi-elettori milanisti pensano di sognare con il ritorno in Italia di Mario Balotelli. Berlusconi lo considera una «mela marcia», ma lo paga 20 milioni. Il 24-25 febbraio si vota, il centrodestra conquista il 42,8%, il centrosinistra il 38,24%, Maroni batte Umberto Ambrosoli. E nell’estate 2013? Il ritorno in rossonero di Kakà fa crescere il Pdl di due punti nei sondaggi per le imminenti politiche. «La sua cessione ci fece perdere due punti alle europee», si lamentò nel 2009 il presidente-premier, dopo aver smentito per mesi la cessione dell’attaccante al Real Madrid. Errore che non sarà ripetuto con le vendite di Ibrahimovic e Thiago Silva lontano dalle urne. Così come quella dell’amato Shevchenko ceduto al Chelsea nel 2006.
«Il Milan è una squadra, ma voglio che sia anche un buon prodotto», diceva Berlusconi nel 1986. C’è riuscito, a modo suo. Ha plasmato la squadra sulla sua politica di plastica, ha vinto in campo, creato consenso fuori dal campo. E il consenso sembrava unanime anche tra i suoi giocatori: sbarbati, sorridenti, ottimisti, pure se alla fine nessuno di loro ha mai seguito il presidente nelle sue avventure elettorali. Tra le poche eccezioni Giovanni Galli, sceso in campo nella corsa a sindaco di Firenze. Era il 2009 e in verità fu il giovane Matteo Renzi a lanciare la sfida all’ex portiere di Fiorentina, Milan e Nazionale. Da allora l’ascesa di Renzi è sembrata innarestabile.

Il Diavolo di Berlusconi è stato un simbolo, anche per gli avversari politici. Cristiano Lucarelli, 39 anni, allenatore, ex attaccante «rosso», nel 2003 rinunciò a un miliardo per tornare a giocare nel suo Livorno. «Certo che ricordo quella partita, non la dimenticherò mai: Milan-Livorno 2-2, 11 settembre 2004. Noi tornavamo in serie A dopo 55 anni, i nostri tifosi sugli spalti a prendere per il culo Berlusconi, tutti a San Siro con la bandana in testa. E io feci due gol, alla squadra del Berlusca. Resterà sempre una partita simbolo, almeno per noi. Poi in campo era un’altra cosa. Perché il Milan di Berlusconi non sembrò mai cercare scorciatoie, non ho visto grandi favoritismi. Vi dico un’altra cosa? Non avrei mai pensato che l’ex Cavaliere avrebbe lasciato il Milan».

Invece sì. «Abbiamo parlato di Milan, mica di regionali», disse quella sera di fine gennaio Salvini dopo aver salutato «il Silvio». Era l’indizio giusto, certe volte può succedere anche ascoltando il leader leghista. Al Diavolo il Milan, poi anche la politica.