Nel gennaio 1970 avevo visto un popolo stanco, teso fino allo stremo, la stanchezza visibile sui volti, gli abiti sdruciti, file interminabili davanti ai negozi di alimentari sprovvisti di caffè, ortaggi, frutta.

La «gran zafra» era al culmine. Fidel Castro aveva presentato questo raccolto di 10 milioni di tonnellate di canna da zucchero come una questione di vita o di morte per la rivoluzione, e scuole, uffici, fabbriche si erano svuotati; tutti a lavorare nelle piantagioni e negli zuccherifici.

Oggi (nel 1977, ndt) l’atmosfera non è più quella di uno sforzo sovrumano. (…) Il cibo è abbondante e diversificato.

La «fascia» orticola che tempo fa aveva lasciato il posto alle piantagioni di caffè è stata restituita alla coltivazione di cereali, ortaggi, frutta, dunque si trova praticamente di tutto e a prezzi contenuti. Il riso, base dell’alimentazione tradizionale, continua a essere razionato ma la maggior parte delle famiglie non esaurisce la quota mensile, Idem per il latte: i bambini e chi ha più di 60 anni hanno diritto a un litro al giorno. I cubani consumano uno dei pasti quotidiani sul posto di lavoro.

Nelle mense il cibo è abbondante. I bambini sono nutriti gratuitamente tutta la settimana. Il caffè è disponibile un po’ dovunque: il razionamento può essere un disagio, ma non è una privazione.

Sulla bellezze dall’Avana è stato detto tutto. Ma la città stava decadendo per mancanza di manutenzione. Hanno distribuito agli abitanti colori da pareti blu, rosa, verde acqua e tutto è stato ridipinto.

Alla base del boom delle costruzioni, c’è il boom demografico: sei milioni di cubani al tempo della rivoluzione, quasi nove milioni oggi. I giovani si sposano in fretta e fanno figli senza pensarci troppo, sapendo che lo Stato se ne fa interamente carico fino ai 16 anni di età. (…)

Sette anni fa soltanto, il villaggio di pescatori Alamar, dieci chilometri a est dell’Avana era… pittoresco. Oggi ho trovato un agglomerato moderno, vivace.

Un centinaio di «microbrigate» ha tirato su abitazioni, tre supermercati, un ospedale, sei scuole, fabbriche e campi sportivi. I moduli prefabbricati sono prodotti in loco sulla base di brevetti romeni. Semplici e funzionali, sono valorizzati dal ricorso ai colori, con pareti alla Mondrian e Vasarely.

Questo comfort, questa preoccupazione per la bellezza si ritrovano anche all’interno delle case, in genere rifornite di frigoriferi, televisori, lavatrici, distribuiti man mano a seconda della disponibilità. Il prezzo è trattenuto dal salario, per un massimo del 10%. Gli affitti sono molto economici.

Privilegiati i contadini; le «nuove comunità» create per loro sono villaggi pilota. Essi rimangono proprietari dei terreni, coltivati dallo Stato che versa loro un affitto. Hanno inoltre un salario per le ore di lavoro che forniscono nel quadro del piano agricolo assegnato al villaggio.

Poster in serigrafia di Roul Martinez 1969
Poster in serigrafia di Roul Martinez – 1969

 

Il turismo interno cubano è un’altra manifestazione di benessere. Contadini mai usciti prima dai propri luoghi vanno «in vacanza». Cittadini vanno a vedere laghi e montagne. (…) La rete ferroviaria è in espansione. Ma i principali beneficiari della rivoluzione sono i bambini. Per loro non si fa mai abbastanza. (…) Tutte le scuole sono coinvolte nella produzione agricola o industriale. Molti istituti secondari si trovano nelle zone di coltivazione degli agrumi (Cuba è ora uno dei primi produttori al mondo) e ogni istituto scolastico gestisce fino a centinaia di ettari.

Metà della giornata è dedicata agli studi, il resto del tempo è diviso fra lavoro produttivo, sport, attività culturali. Il sistema risponde a tre esigenze: fronteggiare la penuria di manodopera, assicurare l’approvvigionamento in ortofrutta per le scuole, superare la separazione fra lavoro manuale e lavoro intellettuale.

Altre scuole secondarie a indirizzo industriale si occupano del montaggio di diversi beni: transistor, meccanica leggera ecc.

La lettura: a Cuba è un fenomeno di massa. In pochi giorni si esauriscono tirature di 60-80.000 copie. Ho visto librai di provincia strapparsi i capelli perché L’Avana non provvedeva alle consegne con sufficiente rapidità.

Il libro cubano è un modello per tutta l’America latina; ottocento biblioteche ambulanti arrivano nei villaggi più remoti, magari a dorso di mulo; senza contare le biblioteche degli istituti scolastici e sui luoghi di lavoro.

Nel 1975 sono state tirate 35 milioni di copie: una bulimia di libri, come nel Cile di Allende. (…) I due quotidiani, Granma e Juventud Rebelde, sembrano copiarsi a vicenda e inspiegabilmente i redattori mancano di immaginazione.

Una popolazione che divora ogni anno 35 milioni di libri, oltre centomila spettacoli teatrali (spesso di compagnie amatoriali), chilometri di pellicole cinematografiche, merita una stampa molto migliore. (…)

In tutti i paesi dell’America latina, la presenza degli Stati uniti – nella pubblicità, nei marchi dei prodotti di largo consumo, nei film e nella cultura -, è molto più pesante rispetto a quella dell’Unione sovietica a Cuba.

Quest’ultima si manifesta quando ingegneri e tecnici russi o della Germania dell’Est vengono a montare una fabbrica. Non appena i cubani possono sostituirli, se ne vanno.

L’unico sovietico che ho incontrato a Cuba nel viaggio era un insegnante di balletto che formava i giovani. Veniva da Leningrado. Soffriva molto il caldo. (…)

* Scrittore, nato nel 1914 a Ixelles (Belgio) da genitori argentini, visitò Cuba nel 1970 tornandovi per diverse settimane nel 1977 quando era in esilio dopo il golpe militare in Argentina. Brani estratti da Le Monde diplomatique del febbraio 1977.