«È tutto pronto» ripete Hanna Nasser «abbiamo i requisiti necessari per garantire la trasparenza e la regolarità delle elezioni amministrative del prossimo 8 ottobre in Cisgiordania e Gaza». È ottimista il capo della commissione elettorale centrale palestinese. Nelle strade di Cisgiordania e Gaza però a due mesi dal rinnovo delle amministrazioni di 416 comuni e consigli di villaggio (25 a Gaza e 391 in Cisgiordania), è raro scorgere qualche segno delle prossime elezioni. Eppure si tratta di un voto di grande importanza. A trasformarla, di fatto, in una consultazione politica è stata la decisione del movimento islamico Hamas di partecipare alle elezioni. È la prima volta dal 2006, l’anno in cui gli islamisti sbaragliarono i rivali di Fatah, il partito del presidente Abu Mazen, e presero il controllo del Consiglio legislativo palestinese. Dodici mesi prima avevano vinto le amministrative. Meno democratica e decisamente violenta fu la presa del potere a Gaza da parte di Hamas nel giugno 2007. In quel drammatico capitolo della storia palestinese ebbe però un peso enorme il gioco dietro le quinte di una parte dei vertici di Fatah volto a spodestare in ogni modo il movimento islamico. Da allora sono falliti tutti i tentativi di riconciliazione tra Fatah e Hamas. Cisgiordania e Gaza, dopo 10 anni di separazione politica e amministrativa, appaiono distanti come mai era accaduto prima.

«La probabilità che il voto sia annullato è ancora significativa. I due partiti maggiori si scambiano accuse pesanti, il clima è difficile», ci dice il politologo Hamada Jaber spiegando che l’improvvisa decisione di Hamas di scendere in campo «si fonda sulla possibilità concreta di conquistare la maggioranza delle amministrazioni comunali in palio». I sondaggi non lo indicano ma anche nel 2006, prima del voto, le rilevazioni degli istituti palestinesi non davano vincenti gli islamisti. Quello fu un voto di protesta spiegano coloro che ridimensionano le ambizioni di Hamas. Tuttavia a distanza di dieci anni Fatah non ha ancora trovato una soluzione alla sua lacerante crisi interna. Molti nei Territori occupati associano lo storico movimento di liberazione fondato e guidato per quattro decenni dallo scomparso Yasser Arafat, all’Autorità nazionale palestinese, istituzione figlia degli Accordi di Oslo guardata con sospetto da tanti dei palestinesi, anche per la collaborazione di sicurezza che mantiene con gli occupanti israeliani. Nei villaggi e nella città a nord e a sud della Cisgiordania, aree storicamente depresse, molti palestinesi guardano ad Hamas non tanto per motivi ideologici quanto come un mezzo per mandare a casa politici di cui non si fidano più. Fatah ha un problema irrisolto con la nuova generazione palestinese. E l’Intifada di Gerusalemme, che ha avuto per protagonisti gli adolescenti, ha reso evidente questa distanza.

Molti sono convinti che le ultime elezioni per il consiglio studentesco dell’università cisgiordana di Bir Zeit, storico laboratorio politico, vinte dalla lista del movimento islamico, abbiano dato una indicazione chiara delle intenzioni di voto dei giovani il prossimo 8 ottobre. «Hamas vincerà senza problemi anche a Gaza nonostante il malumore generale per la mancata fine dell’assedio israeliano che aveva promesso, l’aumento delle tasse e il suo crescente autoritarismo. Vincerà perchè nessuno (a Gaza) crede che Abu Mazen riuscirebbe a fare meglio di Hamas», ci dice Aziz K., di Jabaliya, che preferisce non rivelare la sua piena identità.

Contro Hamas gioca la sua presunzione di superiorità che talvolta lo porta a commettere strafalcioni. A Gaza tanti hanno giudicato uno scherzo di cattivo gusto il video “elettorale” realizzato da Hamas in cui si mostra la Striscia come un piccolo paradiso grazie al governo islamista e non come la prigione a cielo aperto ben nota a tutti. Hamada Jaber e altri analisti prevedono che a Gaza Fatah, altri partiti e soprattutto i candidati indipendenti conquisteranno un bel po’ di voti, non abbastanza da mettere in minoranza Hamas. Fatah peraltro a Gaza potrebbe presentarsi con due liste, una ufficiale ed un’altra composta da candidati vicini al “rinnegato” Mohammed Dahlan, rivale accanito del presidente Abu Mazen ed espulso qualche anno fa dal partito. A favorire i suoi disegni è anche l’atteggiamento, sempre più autoritario, di Abu Mazen pronto ad usare il pugno di ferro per spegnere il dissenso interno. Questa settimana il presidente palestinese ha ordinato l’espulsione della parlamentare Najat Abu Baker di Nablus, militante storica di Fatah che da tempo protesta contro la corruzione interna.

Se la scena è occupata in gran parte da Fatah e Hamas, queste elezioni sono importanti anche per la decisione del Jihad Islami di non partecipare al voto e per quella della sinistra palestinese di presentare una lista unitaria che includerà cinque formazioni: Fronte Popolare, Fronte Democratico, Fida, Partito del popolo (ex comunista) e Iniziativa Nazionale di Mustafa Barghouti. Nel 2006 le diverse liste della sinistra ottennero in totale appena l’8% dei voti. «Il fine è quello di presentare candidati credibili con un programma rivolto ai bisogni della nostra gente e, attraverso di esso, rompere la polarizzazione causata da Fatah e Hamas. Pensiamo che la sinistra sia in grado di offrire una alternativa a questi due partiti», spiega Kayed al Ghul, della direzione del Fronte popolare. Per l’analista Talal Okal invece la lista unitaria della sinistra non sarà in grado di mettere fine alla polarizzazione ma, aggiunge, potrebbe ottenere un buon risultato e porre le basi per lo sviluppo della sua unità politica in vista di possibili ma ancora lontane elezioni legislative.