L’evacuazione forzata dell’oblast di Donetsk al momento non sta funzionando. Secondo il governatore della regione, Pavlo Kyrylenko, degli 1,7 milioni di residenti censiti nell’area prima della guerra, circa 350mila hanno scelto di rimanere, nonostante tutto.

E soprattutto nonostante l’obbligo imposto dal governo ucraino. Non sembra aver funzionato neanche lo scenario terribile, tanto crudo quanto plausibile, evocato dalla vice-prima ministra Iryna Vereshckuk la settimana scorsa.

«A causa dell’evolversi imprevedibile degli eventi bellici, a chi deciderà di sottrarsi all’obbligo di lasciare la regione di Donetsk non sarà possibile garantire i servizi primari nei prossimi mesi», senza contare le difficoltà crescenti nel reperimento dei beni alimentari e di prima necessità.

IL TONO PERENTORIO, tratto peculiare della retorica di Vereshckuk, tuttavia non è da interpretare come una minaccia. La situazione in Donbass è effettivamente compromessa e, sebbene nelle ultime tre settimane i russi abbiano rallentato, i bombardamenti sono incessanti ed è quasi impossibile parlare di «zone sicure».

Sabato il fuoco d’artiglieria contro le cittadine di Bakhmut e Pisky è stato incessante. La prima è un obiettivo strategico fondamentale e, secondo lo stato maggiore di Kiev, è ormai bersagliata con ogni tipo di armamento. Carri armati, cannoni, obici e mortai martellano gli insediamenti limitrofi e le postazioni ucraine a nord-est della città sono in mezzo a campi ormai neri per gli incendi.

Tuttavia, gli ucraini finora hanno resistito e non sembra che la fanteria di Mosca possa condurre un’avanzata vittoriosa nelle prossime ore. La seconda è una zona di confine dal 2014, a meno di 10 km si intravede l’aeroporto di Donetsk, capitale separatista dal 2014.

Nel fine settimana i russi e le truppe filo-russe della Dnr (una delle due repubbliche filo-russe del Donbass) ne avevano annunciato la conquista, ma poi gli ucraini hanno smentito la notizia diffondendo diversi video dei combattimenti ancora in corso.

Bakhmut e Pisky sono solo due esempi, il Donetsk ucraino potrebbe tornare a essere un inferno da un momento all’altro. Eppure sembra che ai residenti rimasti non interessi troppo. Le evacuazioni fanno registrare numeri irrisori, circolano report che parlano di 50 civili al giorno nel migliore dei casi. Di questo passo ci vorrebbero 10 anni per evacuare l’intera zona.

È EVIDENTE che chi è rimasto finora non vuole andarsene. Sia per la paura dell’ignoto di cui abbiamo tante volte scritto, sia per i dubbi sulle modalità di attuazione dell’accoglienza nelle città ospiti. In molti temono che le sistemazioni previste dal governo siano fatiscenti o addirittura assenti. Altri che se i russi dovessero riuscire a conquistare l’area diverrebbe impossibile far ritorno alle proprie case.

Le motivazioni politiche o ideologiche in questo contesto hanno un’importanza marginale. Si tratta di ragion pratica: dove rifugiarsi, con chi condividere le difficoltà, dove reperire cibo e acqua.

Tuttavia, Vereshckuk ha provato a spiegare che con il freddo le cose andranno sempre peggio. La mancanza di gas e riscaldamenti renderà una situazione già tragica potenzialmente letale per centinaia di soggetti fragili, in larga parte anziani. Impossibile fare previsioni, ma se gli ucraini dovessero riuscire nel loro intento di spostare il centro dello scontro militare al sud, il Donbass potrebbe rimanere in questo limbo per settimane. Lo scorrere del tempo, in questa fase del conflitto, è uno dei nemici invisibili degli ucraini.

Intanto nel sud gli ucraini continuano a colpire. Ieri hanno bombardato per la seconda volta i ponti Antonivsky e Kakhovsky che collegano le due sponde del fiume Dnipro a Kherson.