In un paese afflitto dagli strascichi della guerra civile e infestato dalla corruzione, due uomini completamente diversi per indole, esperienze e attitudini lavorative si ritrovano a dover collaborare alla pavimentazione di una strada. Queste le premesse del nuovo libro di Dave Eggers, La parata (traduzione di Francesco Pacifico, Feltrinelli, pp.140, e 15,00) un romanzo breve che nelle atmosfere e in certe situazioni ai limiti del grottesco rimanda al precedente Ologramma per il re, centrato su un consulente americano in preda a una crisi di mezza età che va in Arabia Saudita per proporre un affare al fantomatico re Abdullah.

Al contrario, nulla o quasi sappiamo dei protagonisti della Parata, due anonimi contractors provenienti da una imprecisata nazione industrializzata, costretti dalla politica aziendale a viaggiare senza passaporto e a identificarsi solo con un numero. Quattro, esperto e pragmatico al punto da essersi guadagnato il soprannome «l’Orologio», è intenzionato a eseguire il lavoro a regola d’arte limitando ogni contatto umano per tornarsene a casa al più presto; diversamente da lui, il giovane e maldestro Nove si aggira curioso tra la gente del posto come se fosse in vacanza, gustando cibi esotici e godendo della compagnia di belle donne, ma prendendo anche a cuore i problemi locali e provando goffamente a essere d’aiuto.

Eggers ha rivelato che l’idea per la trama risale a un viaggio in Sud Sudan effettuato nel 2004, quando al momento di imbarcarsi su un aereo locale vide arrivare alcuni ispettori dell’Onu che «saltarono giù dalla jeep come fossero in un video musicale», occhiali scuri e pose da duri. La parata riflette proprio sull’arroganza di quegli «stranieri che venivano a valutare e consigliare, a elargire donazioni e mazzette e a incassare parcelle» senza curarsi delle reali condizioni di vita nel paese. Probabilmente, come ritengono i protagonisti del romanzo, la nuova arteria di collegamento favorirà una ripresa economica, ma è chiaro che i motivi reali dietro l’investimento sono altri: la strada serve al neopresidente per organizzarvi una parata in grande stile che rafforzerà la sua posizione politica, e garantirà un più efficiente spostamento di truppe e convogli militari.

Facendo emergere i lati oscuri della pax americana e spingendoci a riflettere sull’ambivalenza dei cosiddetti aiuti umanitari, La parata affronta temi dolorosamente attuali, ma l’intento didascalico finisce troppo spesso per obliterare l’efficacia narrativa di un romanzo che lascia l’amaro in bocca: non tanto per il violento colpo di scena finale, utile tutt’al più a confermare i peggiori sospetti del lettore smaliziato, quanto perché la sensazione è quella di aver letto un abbozzo di idee originali e situazioni promettenti non pienamente sviluppate, un canovaccio generico sul quale alcuni attori sono stati chiamati a improvvisare e a discutere in modo astratto.

I personaggi sono infatti più simili a «ruoli» da impersonare – tipologie di caratteri adatti a esporre una tesi o un programma – che alle figure di ben diverso spessore, fascino e complessità cui Eggers ci ha abituato in libri come L’opera struggente di un formidabile genio. La scelta di valersi di una tecnica «teatrale», per cui veniamo a conoscenza degli avvenimenti quasi esclusivamente attraverso i resoconti che gli altri personaggi ne fanno ai protagonisti, unita all’ambientazione scarna e intenzionalmente neutra che ricorda una scenografia beckettiana, conferisce carattere esemplare alle vicende, trasformando il romanzo in una parabola universale. Al contempo, però, l’appiattimento di ogni specificità rischia di favorire una prospettiva pericolosamente vicina alla definizione data da Trump delle nazioni in via di sviluppo: «shithole countries».