Centomila persone, moltissimi giovani, hanno sfilato ieri per le vie di Latina per la XIX Giornata della memoria e dell’impegno in ricordo delle vittime delle mafie promossa da Libera e da Avviso pubblico. E molti, nel pomeriggio, hanno partecipato ai laboratori e ai seminari organizzati su vari temi: dalle ecomafie – questione di grande attualità ed urgenza anche nell’agro pontino – alla prevenzione delle infiltrazioni mafiose negli enti locali, dall’uso sociale dei beni confiscati alle mafie, alla memoria della testimonianza e dell’impegno di don Peppe Diana, il parroco di Casal di Principe ucciso dalla camorra 20 anni fa, e di Peppino Impastato.

Una giornata riuscita, di memoria, di denuncia e di impegno, come sintetizza don Luigi Ciotti, presidente di Libera, nel suo intervento dal palco alla fine del corteo: «Dobbiamo mettere da parte la prudenza perché – dice Ciotti citando don Mazzolari – rischiamo di morire di prudenza in un mondo che non può attendere».

Nel corteo ci sono soprattutto giovani. Quelli impegnati nelle attività di Libera, quelli aderenti alla Rete delle conoscenza di Uds (studenti medi) e Link (universitari) e quelli di tante scuole di tutta Italia, da sud a nord. Ciascuna ha «adottato» una vittima, che ricorda in modo particolare: come Renata Fonte (l’istituto alberghiero di Nocera Inferiore), consigliera comunale a Nardò (Lc), uccisa perché si oppose ad alcune operazioni di speculazione edilizia; come Paolino Riccobono (scuola media «Giovanni Cena» di Latina), piccolo pastore siciliano, ucciso a 13 anni nell’ambito di una faida familiare; e come tanti altri.

Ci sono le bandiere della pace e dei sindacati – Cisl, Uil ma soprattutto Cgil, con le varie federazioni, dalla Flc alla Fiom – e di Rifondazione comunista, di Legambiente e dell’Anpi, oltre mille scout dell’Agesci. I movimenti sociali, come gli attivisti dell’Osservatorio antimafia Monza-Brianza e del «No Pedemontana», ennesima grande opera, da 5 miliardi di euro, meno nota di altre ma non meno pericolosa per il territorio e soggetta ad infiltrazioni, come ci spiega il direttore dell’Osservatorio, Marco Fraceti: «Un’autostrada di 87 km. che collegherà l’aeroporto di Malpensa con quello di Orio al Serio (Bg), passando anche sui terreni alla diossina di Seveso, con evidenti rischi ambientali. Inoltre ci sono forti dubbi su diversi appalti infiltrati e su società sospette, ma in Lombardia i silenzi e le omertà sono ampie e diffuse, come e più che al sud». E lo sono anche nella «lontana» Valle d’Aosta, come spiega Marika Demaria, autrice del rapporto «L’altra Valle d’Aosta», dove si documentano le confische di beni al clan Nirta, arrivati da Bovalino ad Aosta.

«Infiltrazioni e collusioni ci sono anche qui – dice Demaria –, ma la politica locale sembra poco consapevole e soprattutto poco attenta». Nel corteo compaiono la presidente della Commissione antimafia Rosy Bindi, che ricorda come qualcuno «voleva convivere con la mafia», il presidente del Senato Pietro Grasso, il ministro della Giustizia Andrea Orlando. Sfilano i gonfaloni dei Comuni e degli altri Enti locali, da Vittoria in Sicilia e Chivasso in Piemonte, dove più di un Comune è stato sciolto per infiltrazioni mafiose (Bardonecchia, il primo, poi Bordighera, quindi Rivarolo canavese e Leinì). E sfilano i familiari delle vittime delle mafie, con le fotografie dei loro parenti uccisi appese al collo.

Alla fine del corteo, nella centralissima piazza del popolo, vengono di nuovo letti, in silenzio, i 900 nomi delle donne e degli uomini vittima della violenza delle mafie, come già era stato fatto venerdì sera, nella veglia a cui ha partecipato anche Bergoglio.

Interviene don Ciotti, che rilancia le parole di papa Francesco: «La presenza del papa ha voluto dire alla Chiesa: basta tiepidezze, prudenze, deleghe, ci vuole più coraggio, più forza, soprattutto bisogna saldare testimonianza cristiana e impegno civile e sociale, perché fra i cattolici vedo molto devozionismo ma poco impegno per la giustizia». Molte parole sono «malate e retoriche», a cominciare da «legalità» e «antimafia». «Tutti si dicono antimafia – aggiunge – ma c’è che su queste parole ha costruito una falsa credibilità». Quindi una forte richiesta di verità: «Non c’è strage in Italia di cui si conoscano fino in fondo i colpevoli. I tribunali possono assolvere, o prescrivere, ma la memoria non può assolvere». Non fa nomi don Ciotti, ma sembra di leggere sullo sfondo quelli di Andreotti e Berlusconi, quando ricorda chi «è stato è prescritto perché andava sotto braccio con i mafiosi ma solo fino a quella data»; o quando nota come «qualcuno nel nostro Paese è stato molto bravo ad ottenere tante prescrizioni per legge».

Impegni per il futuro, e per il Parlamento: una legge sulla corruzione, «perché quella che c’è adesso è insufficiente e viziata da troppe furbizie»; la riforma del 416ter del Codice penale sul voto di scambio politico-mafioso; il riconoscimento dei «delitti ambientali», per proteggere la salute delle persone e i territori dalle ecomafie; politiche sociali inclusive, per la lotta alla povertà, per il lavoro, per la scuola, «perché le mafie vengono alimentate dalla loro assenza – dice Ciotti –. Non è solo un problema di criminalità, in tal caso basterebbero le forze dell’ordine, ma è anche un problema di case, di povertà e di politiche sociali».