Un esempio, ormai sempre più raro purtroppo, dell’utilità del servizio pubblico ce lo ha offerto domenica sera Rai3 diretta da Andrea Vianello, mandando in onda in prima serata la docufiction I Ragazzi di Pippo Fava, tratta dal libro autobiografico di Antonio Roccuzzo (Mentre l’orchestrina suonava gelosia) e da questi trasformato in film insieme a Gualtiero Pierce per la regia di Franza Di Rosa. Bravi attori giovanissimi a interpretare «i carusi» (i ragazzi) e uno strepitoso Leo Gullotta a fare la parte dello zio del protagonista nel ruolo della voce della Sicilia perbenista e ossequiosa, non mafiosa ma assai disturbata da tutto quel chiasso attorno a una cosa, la mafia, che è sempre esistita e sempre esisterà.

La storia raccontata, con brevi interventi di Roccuzzo e Claudio Fava a fare da raccordo, è quella dei ragazzi che all’inizio degli anni ottanta, a Catania, si raccolgono nella redazione del mensile I Siciliani, attorno alla figura di Pippo Fava, drammaturgo e giornalista controcorrente. Resta impressa nella storia la copertina del numero dedicato all’assassinio del generale Carlo Alberto Dalla Chiesa, sui Quattro Cavalieri dell’Apocalisse, ovvero i principali costruttori catanesi che calano su Palermo con il consenso della mafia.

Una rottura radicale con il modo paludato e servile di fare informazione della stampa locale. Sicchè quei carusi, erano, argomenta bene Roccuzzo, gli unici a fare libera informazione.

Le verità scagliate contro il potere mafioso fanno male, disturbano. È una bomba quella frase detta da Pippo Fava in un’intervista a Enzo Biagi sui mafiosi che ai funerali della vittime di mafia stanno sul palco delle autorità. «Mi sa che questa ce la fanno pagare», dice nella fiction Riccardo Orioles, uno dei redattori, ad Antonio.

E infatti gliela faranno pagare: la sera del cinque gennaio del 1983, esattamente trent’anni fa, Pippo Fava cade davanti al teatro Massimo di Palermo, dove era andato a prendere la nipotina che recitava in una commedia di Pirandello, assassinato con cinque colpi di pistola sparati a bruciapelo.

Per i carusi è la fine dell’innocenza («Qua nessuno è innocente», dice il perfido zio). Ora che la violenza mafiosa ha spiegato, a loro e a tutti, quale può essere il prezzo del coraggio: «Da quel momento nulla sarà più uguale. C’è un prima e c’è un dopo», dice Claudio Fava.

Una regia scarna gioca con una sorta di effetto di straniamento quando porta, uno per volta, i carusi sul palco, distaccati dal resto della scena per raccontare la propria storia, e conferisce un’impronta teatrale che ci restituisce la psicologia dei personaggi che non sono appiattiti nella banalità, né volgarizzati nella spettacolarizzazione dei sentimenti, come spesso accade nella fiction televisiva, soprattutto in quelle dedicate alla mafi.

I momenti di gioia, il dolore, i legami familiari sono messi in campo con una sorta di pudore: la mamma di Antonio, la signora Giusy, sobriamente elegante, accoglie in casa quei ragazzi scalmanati e, mille miglia distante dall’immagine stereotipata della mamma meridionale, tutta lacrime e core, sostiene il figlio e i suoi amici. Così la storia d’amore del protagonista con la bella giornalista tedesca scesa a Catania per scoprire quei pazzi de I Siciliani non ha lieto fine, ma s’infrange sul rifiuto di Antonio di lasciare Catania per Roma in un nuovo giornale che sta nascendo.

Gli interventi di Fava e Roccuzzorendono la fiction un flashback dell’io narrante. Anche la scelta di non fare interpretare da un attore Pippo Fava, ma di farlo vivere con il suo volto e le sue parole rientrano in questa cifra stilistica, che fonde fiction, racconto e documento. La morte di Pippo Fava non si vede: è l’eco sorda degli spari, è un giovanissimo Enrico Mentana che annuncia la notizia al Tg1. Non rappresentata, vive nell’angoscia e nella disperazione dei suoi carusi. Senza retorica antimafia, ma attraverso la forza di chi sceglie di continuare.

La docufiction ha costi assai inferiori a quelli che solitamente spende la Rai per le serie, e ha offerto l’opportunità a un gruppo di giovani attori siciliani. In tanti si sono adoperati affinché la fiction fosse proposta in prima serata. In particolare due consiglieri in quota «società civile e movimenti», Gherardo Colombo e Benedetta Tobagi, la cui presenza nel Cda Rai è stata finora abbastanza impalpabile, si sono impegnati in tal senso.