Il cielo incerto e il primo vero freddo della stagione non fanno troppa paura. In ventimila, da tutta l’Italia, hanno percorso i 24 chilometri che separano Perugia da Assisi per la sessantesima edizione della Marcia per la Pace. In testa lo striscione con scritto «I care», con un occhio alla pandemia e un altro alla volontà esplicita dei partecipanti di prendersi cura del mondo.

«C’è bisogno della cultura della responsabilità e della cura reciproca – scandiscono gli organizzatori –, cura delle giovani generazioni, della scuola, dell’educazione, degli altri, del pianeta, dei bene comuni, della comunità e delle città». Un impegno che non riguarda soltanto quest’annata, ma che, nelle intenzioni, dovrà segnare tutto il prossimo decennio: «Cura è il nuovo nome della pace», come da frase di don Lorenzo Milani.

Un messaggio ribadito anche dal presidente della Repubblica Sergio Mattarella, che ha inviato un messaggio ai manifestanti: «I valori che ispirano e la partecipazione che continua a suscitare la Marcia sono risorse preziose in questo nostro tempo di cambiamenti, ma anche di responsabilità. Questa edizione si svolge a sessanta anni dalla prima marcia promossa da Aldo Capitini, quell’originaria, esigente aspirazione alla pace e alla non violenza ha messo radici profonde nella coscienza e nella cultura delle nostre comunità.

La pace non soltanto è possibile. Ma è un dovere per tutti». Tra i volti, oltre alla presenza istituzionale del sindaco di Perugia Andrea Romizi e
della governatrice umbra Donatella Tesei, da segnalare Mimmo Lucano, l’ex sindaco di Riace condannato la settimana scorsa a tredici anni per aver cercato di offrire ai migranti un futuro migliore e un’accoglienza degna in questo paese.

«Sono qui – spiega un Lucano visibilmente provato dagli eventi – perché non ho altri riferimenti per trovare entusiasmo e continuare. Non mi importa, alla fine penso che è quasi naturale pagare gli effetti collaterali di quello che ho fatto, senza dire luoghi comuni o costruire alibi. Quando ho cominciato ad interessarmi alle politiche di accoglienza è stato per una casualità e mai avrei immaginato che la normalità sarebbe diventata un fatto così eclatante.

Per me, non ci può essere pace senza diritti umani, senza uguaglianza e senza rispetto della vita. La Marcia della pace significa trovare la pace».
Applausi di tutto il corteo per lo striscione della Cgil, in solidarietà per il terrificante assalto subito ieri da parte di un gruppo di militanti fascisti in libera uscita per le strade di Roma durante la manifestazione dei «no green pass».

I militanti del sindacato hanno anche apprezzato le non scontate parole di vicinanza espresse dal palco da Romizi e Tesei, esponenti della destra umbra. Il sindaco di Perugia ha anche voluto esprimere «un pensiero affettuoso all’imam Abdel Qader, nostro concittadino e amico, uomo di pace e di dialogo che saliva sempre con noi su questo palco e che oggi non c’è più a causa delle conseguenze del Covid».

Tra il folto gruppo di stendardi istituzionali, si fa notare la sindaca di Assisi Stefania Proietti. «Siamo in migliaia a gridare basta alla violenza e all’indifferenza – dice –, oggi più di ieri è urgente non solo invocare la pace ma anche farla con azione concrete. Oggi più di ieri bisogna prendersi cura degli altri e mettere al centro la vita, la persona, la dignità».

Nella folla in marcia si vedono padre Alex Zanotelli, don Luigi Ciotti, Cecilia Strada, Aboubakar Soumahoro, la moglie dell’ambasciatore italiano Luca Attanasio ucciso lo scorso febbraio in Congo Zadia Seddiki, i genitori del reporter Andy Rocchelli Elisa e Rino Signori.

Il resto è militanza diffusa, cattolici di base, striscioni, bandiere, migliaia di persone partite da ogni angolo d’Italia per per poter dire di esserci, per affermare di combattere ogni giorno per la pace, l’uguaglianza e la solidarietà. Per cercare di fare del mondo un posto migliore.