«Se non si spezza la malefica catena che parte dalle multinazionali del settore alimentare, passa dagli imprenditori agricoli e arriva fino ai caporali, per poi scaricarsi sui lavoratori italiani e stranieri, questo drammatico fenomeno del caporalato non morirà mai. Noi vogliamo in primo luogo spezzare questa lunga catena. Certo, le recenti leggi sull’immigrazione volute dal governo in carica e in particolare dal ministro Salvini non aiutano ma alimentano il fenomeno». Ivan Sagnet ha 33 anni, è nato nel Camerun, ma da anni svolge attività politica in Italia. E’ stato insignito dal Presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, per aver combattuto il caporalato e il lavoro nero. Ha militato nella Cgil, poi ha fondato NoCap, un’associazione che ha come unica mission denunciare tutte le forme di sfruttamento del lavoro in agricoltura e monitorare le aziende virtuose. Di questo parlerà a Nobilita, il convegno organizzato da Fiordirisorse e Informazione senza filtro sulla cultura del lavoro che si tiene a Bologna nella sede dell’opificio Golinelli.
Partiamo dalle inchieste giudiziarie della Basilicata e della provincia di Salerno che hanno portato all’arresto di decine di persone accusate di sfruttamento organizzato del lavoro. In questi casi i caporali svolgevano un ruolo chiave, di intermediazione illegale del lavoro. Non ti sembra una buona cosa che finalmente lo Stato intervenga?
Quando la magistratura interviene per colpire fenomeni di illegalità e sfruttamento del lavoro come nei casi a cui fai riferimento non c’è che da essere contenti. Significa che lo Stato c’è e che il fenomeno può essere combattuto. Ma è bene dirlo chiaramente: la repressione non basta e da sola non è in grado di fermare la piaga del caporalato. Questo lo sanno anche i magistrati anche se è bene ripeterlo il loro lavoro è prezioso per cominciare a scardinare l’illegalità diffusa.
Non ti sembra che ancora una volta, in assenza della politica, i magistrati stiano svolgendo il ruolo di supplenti?
E’ proprio quello a cui stavo pensando. La politica non può affidare tutto alla magistratura, deve fare la sua parte senza reticenze e timidezze nei confronti dei poteri economici. I controlli ad esempio sono molto scarsi, manca in Italia una riforma dell’ispettorato del lavoro. E soprattutto serve una vera riforma dei centri per l’impiego di cui si parla tanto in questi giorni. Se i centri di collocamento, ovvero l’intermediazione legale di manodopera, non funzionano, è evidente che i caporali si insinuano nel mercato del lavoro soprattutto agricolo, come terminali dell’intermediazione illegale di manodopera. A tutto ciò si aggiunge un aggravante: la drammatica situazione dei lavoratori stranieri che sono i più sfruttati e i più vulnerabili.
Quanto le leggi recenti sull’immigrazione decise dal governo Lega-M5S pesano sul fenomeno di cui stiamo parlando?
Diciamo che il caporalato attinge manodopera nei luoghi della disperazione. La legge Salvini, ad esempio, abolendo i permessi di soggiorno per motivi umanitari ha come effetto immediato e grave l’interruzione dell’integrazione e come effetto collaterale spinge i lavoratori stranieri che prima vivevano nei centri di accoglienza nelle mani del caporalato. Le grinfie degli sfruttatori sono pronte a colpire dove c’è disoccupazione
In questa catena dello sfruttamento di manodopera non c’è anche una responsabilità degli imprenditori?
Il caporalato è un sistema che vede ai vertici gli imprenditori agricoli. Sono loro i responsabili diretti, sono loro che si affidano ai caporali e che decidono dunque di attingere manodopera in modo illegale. Ma se vogliamo davvero spezzare questa catena dobbiamo sapere che c’è un livello ancora più alto di responsabilità rappresentato dalla Grande Distribuzione Organizzata, (Gdo). L’oligopolio rappresentato dalle multinazionali del settore alimentare ha il potere di imporre ai produttori prezzi incredibilmente bassi e dunque costi elevati che si scaricano come sempre sul lavoro meno protetto. Hai presente le proteste dei pastori sardi? Nel settore agricolo la dinamica è la stessa. E’ il modello di sviluppo economico che non funziona.
Oltre all’attività svolta dal sindacato, quali altri strumenti devono essere messi in campo per fermare questo fenomeno così endogeno al sistema?
Noi abbiamo messo in campo l’associazione NoCap. Ritengo che le proteste siano cruciali per ottenere cambiamenti ma non basta. Io ho contribuito ad esempio alla legge sul caporalato fatta dal governo Renzi ma poi mi sono accorto che quando si è arrivato dover mettere in discussione gli interessi dei giganti dell’alimentare, il governo non ha avuto coraggio. Come NoCap abbiamo proposto di creare una certificazione della filiera, un bollino che promuova e premi le aziende virtuose, quelle che non utilizzano i caporali per procurarsi la manodopera. Questa strumento diventerà un elemento di forza se e quando i consumatori diventeranno consapevoli del fenomeno così diffuso in agricoltura.