Alfred Hitchcock ha trovato la sua voce nel cinema muto. Subito mito del muto e subito maestro del thriller, il cineasta è stato ‘muto’ sempre. Non solo per le frequenti ostilità verso la musica, grande intrusa del grande schermo : Psycho, oggi impensabile senza il suono di Bernard Hermann, doveva essere, per il regista, muto di note. Solo immagini: partitura visiva. La doccia, ma pure altre celebri sequenze – l’aereo che assilla Cary Grant in Intrigo internazionale, gli appostamenti e assalti degli Uccelli, Gregory Peck con il bicchiere di latte lucente in Io ti salverò –, son diventate paradigmi dello sguardo. Il suono, se c’è, non si sente: si ‘vede’. Perché Hitchcock, nato anche cinematograficamente con il muto, ha sin dagli esordi concepito il cinema come un fenomeno emotivo prima che narrativo: l’azione vissuta, anziché illustrata. « Quando comincio un film, non ho tra le mani il minimo pezzo di carta – confidava in Chiudi gli occhi e guarda! su Stage, luglio 1936 –. Visualizzo la storia nella mia testa come una serie di pennellate su sfondi via via diversi. Spesso scelgo per primi gli sfondi e decido poi dell’azione ». Il cinema di Hitchock è un infinito Urlo di Münch: il grido muto della visione. « Non disprezzo il sonoro per la mia predilezione delle immagini, ma quando sento dire che il cinema sonoro dispone d’una gamma di soggetti più ampia, ribatto che ha anche un campo d’attrazione più limitato. Quel che attira l’occhio è universale, quel che attira l’orecchio è locale ».

L’‘universale’ del regista, il cinema muto degli esordi in Gran Bretagna – di cui le Giornate di Pordenone offrono un prezioso assaggio, a 120 anni dalla nascita di Hitchcock – è riaffiorato di colpo, esplosivo e rivelatore, postuma chiavetta di volta del maestro del thriller, in occasione delle Olimpiadi di Londra, con un pacchetto di nove titoli, realizzati in quattro anni, tra il 1925 e il 1929, restaurati dal British Film Institut con il ripristino di sequenze perdute e dei viraggi d’epoca. Aggiunti dall’Unesco nel registro della Mémoire du monde, in quanto « opere tra le più belle del cinema muto britannico e abbozzi dell’Hitchcock futuro », i nove titoli (più The Mountain Eagle, del 1926, andato subito perduto) sono, negli anni 20, l’altra faccia del made in England: alcuni già conosciuti – grazie a festival cinefili quali il Bergamo Film Meeting – come The Lodger (proiettato in chiusura di Pordenone, il 12), terza regia, già con il tormentone dell’innocente sospettato di delitto. I primi sei – The Pleasure Garden, il perduto The Mountain Eagle, The Lodger, Downhill, Easy Virtue, The Ring – escono tutti nello stesso anno (1927) e valgono a Hitchcock, allora ventottenne, l’appellativo di ‘Young Genius’. Il primo, The Pleasure Garden, è di produzione tedesca. Girato tra Monaco, Genova e Lago di Como, tra mille peripezie, anche economiche (con il regista deb sliratissimo alle prese con la dispendiosa diva Usa di turno), descritte spassosamente in un diario a puntate su Film Weekly nel maggio 1936, inaugura le complicità, che dureranno tutta una vita, con Alma Reville, sua assistente e moglie dal 1926. L’ultimo, Blackmail, è doppio: muto e sonoro, il primo sonoro made in England, che Hitchcock gira quasi contemporaneamente, anticipando, non nella finzione ma nella realtà del set, una trovata hollywoodiana. Fa infatti doppiare Anny Ondra, che parla inglese come Zsa Zsa Gabor, da un’attrice nascosta dietro le quinte mentre lei articola le frasi, come Debbie Reynolds in Cantando sotto la pioggia.

La riscoperta del primo Hitchcock – analizzato con sintetica cura in Alfred Hitchcock di Bill Krohn (Cahiers du Cinéma 2012) e in Hitchcock e il Surrealismo di Ernesto G. Laura (L’Epos, 2005) – non è solo curiosità archeologica: è un tassello finora mancante nella conoscenza di un’intera cinematografia, quella britannica anni 20 e del suo maestro in fasce,  anticipatore, poco più che ventenne, dell’occhio voyeur di Finestra sul cortile o del suspense operistico di L’uomo che sapeva troppo fin dalla prima sequenza dell’opera prima, The Pleasure Garden, dove un vecchio satiro si fa sorprendere mentre con il binocolo esplora le gambe delle girls in scena. Già l’Hitch Touch : inaugurazione d’un cinema in cui allo spettatore spetta « la poltrona migliore ». È l’imposizione, maligna e coinvolgente, d’una visione in soggettiva, cui l’autore ci obbliga fin dai suoi raccontini, di cui qui traduciamo il primo, Gas, pubblicato a vent’anni su The Henley Telegraph – periodico aziendale degli impiegati della Henley Company, dove si consumava in lavoretti secondari prima di diventare regista –, mini-soggetti pieni di suspense, con svelamento umoristico finale. Fin da allora, grandi esercizi di stile. E una sola, beffarda filosofia: « Avete visto tutto quel che la cinepresa vi ha fatto vedere. Dovete crederci. Perché la cinepresa, come ben sapete, non può mentire ».

 

(un inedito di 100 anni fa)

Anestesia (2.046 bt)

ALFRED  HITCHCOCK

Non s’era mai addentrata, prima, in quell’angolo di Parigi. Era quella, Montmartre? Quel luogo orribile dove sul far della notte s’aggira il pericolo, dove le anime innocenti periscono senza preavviso, dove la fatalità ha di mira gli imprudenti, dove i teppisti fan festa. Avanzava, guardinga, all’ombra del gran muro, gettando dietro di sé occhiate furtive, temendo la minaccia nascosta, forse già alle calcagna.

Di colpo, si butta in una stradina, senza nemmeno sapere dove conduce… a tastoni nella notte d’inchiostro, con il pensiero fisso di scampare all’inseguitore… va avanti… oh, quando sarà tutto finito?… Poi vede ritagliarsi nell’oscurità una porta illuminata… qui… ovunque sia, dice a sé stessa.

La porta era a pochi gradini in basso… Gradini consunti che si son messi a scricchiolare quando ha cominciato a scendere… E lì, rabbrividendo, ha sentito le risate avvinazzate: erano di certo… oh, no, questo no. Tutto, ma questo no! Giunta all’ultimo scalino, scopre una bettola puzzolente, intasata di relitti umani, un tempo uomini e donne, in piena orgia … Anch’essi l’intercettano subito, visione di purezza in preda al terrore. Una mezza dozzina di uomini si precipitano su di lei, incitati dalle urla degli altri. L’han presa. Lei grida. Un vago pensiero le attraversa la mente – avrebbe fatto meglio a lasciarsi raggiungere dal suo inseguitore – mentre la trascinano brutalmente per la bettola. La sua sorte è stata decisa dalla banda: senza proroghe. Si sarebbero spartiti tutto quel che aveva su di sé … e lei stessa… E allora? Non era il cuore di Montmartre? Lei doveva sparire: un bel boccone per i topi. L’hanno legata e sospinta lungo un oscuro passaggio, hanno agganciato una scala a strapiombo sul fiume. « I topi d’acqua faran festa », ridono. E poi… dondolano il suo corpo legato prima di buttarlo nel vortice d’acqua nera. Lei affonda, affonda, affonda. Avverte solo una sensazione di soffocamento… È la morte… E poi… « Finito, signora », è la voce del dentista: « Cinque scellini, grazie ».

dai n°1 di The Henley Telegraph, Londra, giugno 1919

(traduzione di Mario Serenellini)