Oltre che raccontare una gara canora e una contesa amorosa, I maestri cantori di Norimberga mettono in scena il rapporto tra vecchi e giovani, tradizione e nuovo. Richard Wagner iniziò a comporli intorno ai 30 anni e li finì quasi a 60, incorporandovi il suo rapporto con la storia (il finale nazionalistico che sedurrà Hitler), con la tradizione poetica e musicale (il Rinascimento come origine del genio tedesco e metafora della sua rinascita durante il Romanticismo), con la critica (pare che in Beckmesser sia ritratto Eduard Hanslick) e con la sua stessa produzione (l’opera è una parodia di Tannhäuser). Insomma una riflessione sul passato e sulla propria posizione nel tempo come spartiacque tra un prima e un poi: dopo Wagner il teatro d’opera non sarà più lo stesso.

L’allestimento in scena al Teatro alla Scala fino al 5 aprile, ripresa di quello dell’Opernhaus di Zurigo del 2012, si svolge tutto dentro e intorno alla scenografia rotante di Hans Schavernoch, che riproduce le rovine della Chiesa di Santa Caterina di Norimberga (distrutta durante la II guerra mondiale) e le impalcature innalzate per ricostruirla; sullo sfondo vengono proiettate viste della città (curate da Thomas Reimer) che ne riassumono la storia fino al presente. La regia di Harry Kupfer, vincitore in questi giorni insieme a Zubin Mehta del Premio Abbiati per Il cavaliere della rosa del 2016, restituisce l’opera in tutta la sua baldanzosa vitalità, lavorando su movimenti e affetti in maniera sempre precisa. Dirige Daniele Gatti, che si è già cimentato con I maestri cantori al Festival di Salisburgo nel 2013 e a Zurigo proprio nell’edizione di Kupfer: la sua lunga frequentazione di Wagner gli permette di attraversare la partitura con mano salda e un’attenzione vincente all’energia drammaturgica, ai suoi tempi trascinanti, come anche a quelli più meditativi delle oasi liriche.

Nelle parti principali alcune delle voci più note del teatro wagneriano di oggi: il magnifico Michael Volle (Hans Sachs), che scala la montagna scoscesa del suo ruolo con rara generosità e aderenza, dando l’impressione di tenere l’intera opera sulle spalle grazie a una voce torrenziale e a un fraseggio sempre pertinente; i bravissimi Markus Werba (Beckmesser), Albert Dohmen (Veit Pogner) e Jacquelyn Wagner (Eva), dotati di voci timbrate e tecniche solide; i freschi Anna Lapkovskaja (Magdalene) e Peter Sonn (David); Michael Schade (Walther von Stolzing), afflitto da qualche evidente problema vocale, arriva con fatica in fondo all’opera.