«I cittadini che si vedono negati gli esami chiamassero il ministero. Il decreto in questo momento ancora non c’è, quindi è tutto come prima». La ministra della Salute, Beatrice Lorenzin, tenta una via di fuga. Troppo impopolari, per il governo delle larghe intese e degli accordi per le amministrative, le proteste che si levano dalle Regioni per l’ulteriore riduzione del finanziamento del Fondo 2016 e le accuse, rivolte dai sindacati all’esecutivo, di aver usato l’argomento della cosiddetta «medicina difensiva» per decurtare non tanto le prestazioni «inappropriate» quanto piuttosto le risorse a disposizione del Sistema sanitario nazionale. Favorendo in questo modo lo sviluppo del settore privato. Con enormi ricadute, già evidenti da anni come testimoniano l’Istat e studi dell’Ocse, sulla medicina di prevenzione delle malattie.

Nessun vero passo indietro, però, riguardo l’elenco dei 208 esami diagnostici che i medici potranno prescrivere solo a determinate condizioni imposte dal ministero: «Lista degli esami non è fatta da politica, ma da Consiglio superiore sanità e sarà aggiornata coi nuovi Lea», ha twittato ieri lo staff di Lorenzin. E il relativo decreto, che completa il Patto sulla salute siglato a luglio da governo e Regioni, «potrebbe – prevede la ministra – diventare operativo in meno di un mese. Sto aspettando che il Consiglio superiore di sanità mi restituisca il testo, che deve essere adottato dalla Conferenza Stato-Regioni, poi abbiamo deciso di fare un tavolo insieme per avere una linea di condotta uniforme in tutto il territorio, e sarà vigente. Siamo comunque apertissimi a qualsiasi confronto». Un’apertura molto apprezzata dai camici bianchi, soprattutto perché, come puntualizza Lorenzin, «il tema del contendere è la sanzione (ai medici che non rispettano i limiti imposti, ndr), non la lista delle 208 prestazioni non appropriate. Ma noi non vogliamo star lì a dare sanzioni, tranne in casi gravi. Proponiamo ai medici una indicazione anti-sprechi».

Rimane per ora inevaso e grave il problema del ridotto finanziamento del Fondo sanitario del 2016: 111 miliardi, a fronte dei 113 previsti per l’anno prossimo nell’ultimo Def e ai 115 conteggiati nella legge di Stabilità 2014. Anche ieri, al termine della conferenza Stato-Regioni, il presidente Sergio Chiamparino ha ribadito: «Solo un miliardo in più rispetto allo stanziamento del 2015 non è sufficiente a raggiungere gli obiettivi. Non faccio dichiarazioni di guerra. Prendo atto che c’è una convergenza sugli obiettivi per migliorare la qualità del servizio attraverso l’innovazione dei farmaci e nelle misure per l’appropriatezza delle prestazioni. Ma bisogna capire se un’integrazione di un miliardo invece dei cinque inizialmente previsti, è sufficiente. Dobbiamo trovarci rapidamente sulla questione dei fondi».

Dai governatori del Pd solo silenzio, rivelatore di imbarazzo. Il forzista Giovanni Toti, presidente della Liguria, invece protesta esplicitamente: «Non giochiamo con le parole: razionalizzazioni, ottimizzazioni, se sono meno risorse si chiamano tali». In serata, la ministra Lorenzin tenta di placare anche i mal di pancia delle Regioni: «Una cosa è certa, non si possono più fare tagli lineari in sanità e chi pensa di farli non troverà niente. Si è raschiato il barile – ammette intervenendo al congresso nazionale Fimp a Roma – E con questa consapevolezza affrontiamo la legge di Stabilità, anche con i dati generali del Paese finalmente positivi». C’è da stare sereni.