Tanti casi emblematici si annidano nella storia della Litografia Bulla. L’occasione per portarli alla luce è data dalla bella mostra che alla stamperia romana, al compimento dei suoi duecento anni di vita, dedica l’Istituto centrale per la grafica (Palazzo Poli, Roma, fino all’1 luglio, ingresso gratuito) curata da Claudio Zambianchi con un gruppo di allieve del corso di specializzazione in beni storico-artistici dell’università «Sapienza», Marta Maria Caudullo, Federica De Giambattista, Giulia Papale, Francesca Petito, Patrizia Principi, Eva Scurto e Marta Variali. Allo stesso team, con Antonella Renzitti, si deve il corposo catalogo – lo stesso titolo della mostra Litografia Bulla. Un viaggio di duecento anni fra arte e tecnica, edizioni Treccani italiano-inglese – , articolato in numerosi saggi e corredato da un ampio repertorio iconografico.
La stamperia, la più antica e longeva di Roma, è attualmente condotta dai fratelli Rosalba e Romolo Bulla affiancati, di recente, dalle figlie di quest’ultimo, Flaminia e Beatrice, cui si deve l’iniziativa di riorganizzare l’archivio di famiglia che ha dato avvio ai nuovi studi (ne era stato l’iniziatore Giuseppe Appella nel 2001).
Incontro alla società di massa
Inventata alla fine del Settecento, cioè all’esordio dell’epoca moderna, la litografia ne ha incarnato lo spirito recuperando, paradossalmente, la pietra: il più primitivo sistema per la conservazione dei segni. Moderna è soprattutto la capacità della tecnica litografica di andare incontro alle esigenze della nascente società di massa, dal momento che con maggiore immediatezza, rispetto a più antichi processi di stampa, permette di trasferire l’immagine sulla matrice di pietra e di duplicarla in un numero vasto di copie fruibili da molti. Si può ben dire che alla litografia, prima ancora che alla fotografia, spetti il primato di aver reso moltiplicabile l’opera d’arte.
Da quegli esordi passò molta acqua sotto i ponti e le vicende della dinastia Bulla, originaria del Canton Ticino e spartita in due rami che aprirono litografie a Parigi nel 1818 e a Roma nel 1840, permettono di ripercorrerle in maniera esemplare.
Le prime sale della mostra costituiscono una sorta di preambolo dedicato alle iniziali metamorfosi della litografia, significativamente introdotte da Les Métamorphoses du Jour di Grandville, edite da François Bulla a Parigi tra il 1828 e il 1829, nelle quali la neonata classe borghese è già oggetto di satira. Destinata, inizialmente, a riprodurre immagini di artisti e disegnatori, la litografia si rivelò a breve un alleato fedele dell’industria del consumo moltiplicando manifesti, cartoline, marchi di prodotti in vendita, contemporaneamente offrendo immagini di qualità a uso di una popolazione che chiedeva accesso all’istruzione. In mostra manifesti della Gaumont, assaggi delle garbate pubblicità di una volta, manuali di calligrafia… Quando poi le moderne tecniche di riproduzione dell’immagine stavano per mandare in cantina la litografia, essa risorse come mezzo di espressione degli artisti, i quali ne recuperarono la vocazione plurale con opere d’arte a più buon mercato dei loro pezzi unici.
La nuova svolta si deve a Roberto Bulla, subentrato al padre Romolo nel 1941. Con la sua gestione si delineò il profilo della stamperia d’arte alla cui attività è dedicato il corpo principale della mostra, con sale nelle quali stupisce la quantità e la diversità degli autori esposti e incanta la qualità delle loro edizioni.
Nata moderna, la litografia si ritrovò a essere lo specchio di una sapienza e di una abilità artigianale che alcuni artisti intesero relegare al passato. Ma ad altri artisti capitò che, proprio nella stamperia dei Bulla, si cimentassero nella litografia. Accadde all’americano Carl Andre o all’ateniese naturalizzato romano Jannis Kounellis, assiduo frequentatore della stamperia come la mostra in corso debitamente testimonia e al quale, anche sull’emozione della sua recente scomparsa, è dedicato un intero saggio in catalogo a firma di Flaminia Bulla.
Cosa spinse Kounellis, autore di un atto estremo e radicale come quello di esporre dodici cavalli vivi, per il quale l’arte nasceva in un determinato momento e in un determinato luogo dall’incontro e dal dialogo con l’altro, a suggellare tante delle sue immagini in una sorta di cornice ideale, quelle scatole di zinco prodotte in multiplo dalla stamperia Bulla? Nei secoli, è il caso di dire, sono molti gli artisti che hanno contribuito a dilatare le competenze dei Bulla. Così Kounellis ai figli di Roberto, Romolo e Rosalba, subentrati al padre nella gestione della bottega, portò in dono la terza dimensione.
È nutrito il catalogo degli oggetti che soprattutto Romolo ha dovuto procurare, talvolta con ripetute perlustrazioni al mercato delle pulci romano, Porta Portese: scarpe, cappotti, sottovesti, vecchi ferri da stiro, forbici, macchine da cucire, coltelli, mandolini, palle da biliardo, chicchi di caffè, sacchi, pietre di antracite… che insieme alle immagini tracciate da Kounellis con la matita grassa sulla pietra, hanno ricondotto l’opera di questo artista alla dimensione del quadro. Mosso, forse, dal desiderio di redigere una sorta di promemoria nel quale fissare le tappe del suo peregrinare, nei multipli incorniciati di zinco usciti dalla stamperia Bulla Kounellis ha tributato un omaggio all’immagine bidimensionale alla quale da tempo immemore viene affidato il compito di esprimere il mondo. Non c’è da stupirsi, sebbene avesse smesso nel 1966 di dipingere quadri: Kounellis si è sempre definito pittore coltivando la coscienza che la pittura, sono parole sue, «è una mentalità che sopravvive dentro e fuori i dipinti».
È rischioso sostenere che possano esistere approdi dai quali non si fa ritorno. Può sempre capitare che nelle stanze abitate da sapienti artigiani, duttili a recepire il nuovo e pronti a modellare su questo le loro conoscenze, circondati da cimeli stratificati nel tempo, al cospetto di macchine antiche ma ancora in funzione, le proprie radicali e radicate posizioni mostrino per incanto il fil rouge che le inanella all’intera storia dell’arte.
Tante altre storie, ugualmente emblematiche, si possono raccontare a proposito della stamperia Bulla. All’indomani della Seconda guerra, ad esempio, quella di una generazione di artisti intellettuali, Achille Perilli e Gastone Novelli tra gli altri, i quali fondarono riviste, organizzarono mostre e che nelle edizioni d’arte videro un altro dei modi possibili di allacciare dialoghi.
La cartella introdotta da Argan
Dalla stamperia Bulla uscì quella sorta di manifesto della litografia rappresentato dal testo di Giulio Carlo Argan che introduce la cartella giusto intitolata Litografia pubblicata nel 1963 dalla romana galleria La Salita e per la quale Roberto Bulla tirò le stampe di Carla Accardi, Ettore Colla, Piero Dorazio, Tano Festa, Lucio Fontana, Francesco Lo Savio, Mimmo Rotella, Antonio Sanfilippo, Toti Scialoja e Mario Schifano. Significativo fu l’impegno con il quale Romolo e Rosalba Bulla seguirono le sperimentazioni di Paolo Gioli, che nella tecnica cercò la verità dell’arte, e poi il loro investimento, all’inizio degli anni ottanta, nelle opere dei loro coetanei, i quali provenendo dal magistero del concettualismo stavano optando per la responsabilità della pittura.
Oltre a questi, molti altri ancora sono gli artisti raccolti nella mostra e nel catalogo, tra i quali Mimmo Paladino, che generosamente si è adoperato affinché questa celebrazione andasse in porto. Ciascuno di loro ha trascorso lunghe, operose ore in via del Vantaggio 2, dove dal 1882 ha sede la stamperia a due passi da Piazza del Popolo. Di questa celebre piazza romana, la stamperia Bulla è il contraltare, il luogo dove gli artisti convergono non per incontrarsi, ma per fare.