Preannunciata da un roboante tweet di Trump, i legali della campagna del tycoon hanno tenuto una conferenza stampa per mostrare tutte le prove lampanti della vittoria di Trump e le frodi ordite dai Dem per scippare il risultato.

RUDY GIULIANI, ancora una volta, si è prestato a mettere in scena uno spettacolo imbarazzante in cui ha citato «mio cugino Vincenzo», Topolino e tutta una serie di strampalate teorie, portando alcuni esempi di avvenute frodi, causate più che altro da sciatteria. Negli Usa nessuno sta dicendo che ci sono stati letteralmente zero casi di frode legata al voto, casi sparsi e isolati di frode si verificano a ogni elezione. Ciò che manca sono le prove di una frode di massa e coordinata, della portata che potrebbe ribaltare il risultato delle elezioni.

E queste prove continuano a mancare nonostante l’erratica conferenza stampa di Giuliani in cui non solo ha parlato di incongruenze, sempre non provate, nei numeri di elettori che si sono presentati alle urne, ma ha anche ripetuto affermazioni già smentite più volte da tutte le autorità competenti: la mancanza di osservatori repubblicani nei seggi di Atlanta o la dichiarazione giurata di un addetto al voyo di Detroit, già smentita da altri funzionari elettorali e da un giudice.

Giuliani ha ripetuto che è inspiegabile come i numeri che inizialmente favorivano Trump siano poi cambiati al punto da assegnare la vittoria a Biden e che le sue accuse non vengono riportate dai media. Non è così: non si parla d’altro.

Se la testimonianza di Giuliani è parsa raffazzonata, quella di Sydney Powell, legale della campagna Trump, è andata oltre. Con la voce rotta dalle lacrime la legale ha parlato di un piano ordito da diversi Stati comunisti, dal Venezuela alla Cina passando per Cuba, diretto da Hugo Chavez, continuato da Maduro, appoggiato da Castro, per manomettere le elezioni Usa del 2020. Poco importa, al filo narrativo Rep, se Chavez e Castro siano morti ormai da qualche anno. «Inoltre non abbiamo idea di quanti candidati locali abbiano pagato per comprarsi la vittoria», ha aggiunto Powell.

MA AL DI LÀ DEL FOLKLORE di tutta questa pantomima, il fine destabilizzante di questo incontro con la stampa è apparso nell’intervento di Jenna Ellis, legale della campagna, che si è assunta il compito di cercare di delegittimare i media dicendo che i reporter che non abbracciano le teorie di Trump sono complici di un colpo di Stato, che già vede «i titoli di domani in cui si parla di prove non sostenute da evidenze».

«Le prove sono davanti a noi», ha sostenuto Ellis senza mostrarle, passando ad affermare che se ora il popolo americano accetterà questo risultato, starà accettando che nessuna altra elezione, d’ora in poi, sarà sicura. «La vostra domanda è fondamentalmente errata, quando chiedete “dove sono le prove?». Chiaramente non capite il procedimento legale», ha tagliato corto Ellis. La narrativa del gruppo di Trump è passata a uno stadio successivo: sosteniene che i brogli ci sono stati e che sono stati orditi da un’alleanza intercomunista coordinata da Chavez e foraggiata da Soros («che finanzia antifa e Black Lives Matter», ha ricordato Giuliani). E chi non abbraccia acriticamente questa teoria è o complice del tentativo di scippare la vittoria a Trump, o un pavido anti-patriottico.