Le coste del Regno Unito come l’isola di Lampedusa. Li hanno già ribattezzati i «boat-people della Manica», immigrati e richiedenti asilo che cercano di raggiungere con ogni mezzo e spesso a rischio della loro stessa vita il territorio britannico. Dopo la folla di disperati che ha più volte cercato di attraversare l’eurotunnel da Calais, ora sempre più spesso è via mare che si tenta di arrivare in quella che resta una delle mete più ambite da chi fugge da guerre, miseria e terrore. Una situazione densa di pericoli per chi tenta l’impresa e che trova un’eco crescente nel dibattito in seno alla società inglese in vista del referendum sulla Brexit del 23 giugno.

Secondo un’inchiesta realizzata dal lato francese di questo confine naturale, sulla base dei dati raccolti dalle prefetture marittime di Dunkerque e Cherbourg, a partire dallo scorso gennaio si è infatti registrata un’impennata nel numero di tentativi di raggiungere via mare la Gran Bretagna. Nel corso del 2015 ben 30 persone erano già morte annegate o di freddo e il numero dei miganti soccorsi in mare aveva raggiunto le centinaia di casi. Così, negli ultimi mesi è stato varato un nuovo dispositivo di cooperazione tra le autorità marittime dei tre paesi coinvolti, oltre a Francia e Gran Bretagna anche il Belgio. Obiettivo dichiarato dell’operazione, hanno fatto sapere i responsabili del Maritim Rescue Coordination Center di Folkstone, quello di evitare che la zona si trasformi in un «gigantesco cimitero marino».

Il problema è che dopo lo sgombero della jungle di Calais e l’irrigidirsi dei controlli dalla parte britannica, la via del mare appare a molti come l’unica soluzione per portare a termine un viaggio iniziato a decine di migliaia di chilometri di distanza con l’obiettivo di raggiungere le città britanniche dove vivono parenti e amici. In assenza di statistiche ufficiali, chi lavora nei porti o lungo le coste di partenza, racconta l’aumento dei tentativi di «traversata» in base al moltiplicarsi dei casi più drammatici.

Lungo il braccio di mare tra Dover e Calais, distanti non più di 34 km nel punto più stretto, passa ogni anno qualcosa come il 20% dell’intero commercio marittimo mondiale, oltre 600 navi mercantili al giorno. Inizialmente, lungo questa autentica autostrada di acqua, i migranti e i rifugiati hanno cercato di trovare spazio sui traghetti che trasportano ogni giorno merci e turisti. Oggi però le cose stanno cambiando. «Ci sono sempre stati dei passaggi illegali, grazie alla complicità di funzionari o pescatori, ma la novità di questi mesi è il ricorso sempre più diffuso a piccole e pericolose imbarcazioni», spiega il tenente di vascello Pierre-Joachim Antona della capitaneria di Cherbourg. Da un lato, segnala Éric Fouard, procuratore della Repubblica di Dunkerque, sono aumentati i prezzi dei passeur, «oggi si può arrivare a pagare fino a 12mila dollari per una traversata individuale», dall’altro «le persone, sempre più disperate, le provano tutte». Con la conseguenza che si moltiplicano le tragedie e i casi di salvataggio dell’ultimo minuto.

A febbraio, 5 iraniani sono finiti alla deriva con la piccola imbarcazione da pesca che avevano rubato a Calais: nessuno di loro sapeva nuotare. A marzo è toccato a un padre e due figli, provenienti dall’Afghanistan, di essere tratti in salvo al largo della costa francese: la loro imbarcazione stava colando a picco. Ad aprile la Border Force britannica ha recuperato due migranti che cercavano di attraversare la Manica dentro un pneumatico da camion. Alla fine di maggio un gruppo di 18 albanesi sono stati salvati dalla marina inglese a bordo di un piccolo catamarano adatto al massimo a trasportare 5 o 6 persone.

Una serie di drammi evitati che però segnalano la crescita del fenomeno. Nel frattempo, i tabloid popolari come l’ultraconservatore Daily Mail non smettono di lanciare l’allarme su ciò che presentano come «lo sbarco degli invasori», mentre i sostenitori della Brexit suggeriscono che la responsabilità di queste pericolose traversate sia dei paesi della Ue che «non hanno saputo chiudere i loro confini».