Shock Theater, Channel 8, WJW, in onda da Cleveland, Ohio. Per chi aveva la tv all’inizio degli anni Sessanta, quel programma significava solo una cosa: Ghoulardi, un inquietante personaggio d’invenzione protagonista di un horror show, interpretato da Ernie Anderson, che con la sua voce profonda ha scolpito il suo tormentone «Stay sick, turn blue!» nella memoria collettiva del paese. Cinquant’anni dopo, quell’espressione continua a rimbalzare nella cultura pop del nord est dell’Ohio: Ghoulardifest, celebra quest’icona in una tre giorni dedicata agli amanti dei «nostalgia tv shows» dal tocco horror che torna anche quest’anno a Cleveland, prima città d’adozione di due giovani Black Keys che lasciavano loro Akron, immersa nella noia in cerca di palchi dove suonare.

Ghoulardi, con le sue atmosfere tetre ma famigliari, che i due non hanno mai visto direttamente in tv per età anagrafica, ma che affiora nel loro immaginario di Clevelanders, si guadagna con il suo tormentone il titolo del loro nuovo album Turn Blue (ovvero «diventare cupo», «intristirsi»= dal debutto folgorante negli Usa in prima posizione, superando addirittura gli inediti post mortem di Michael Jackson… Un omaggio a «Ghouli», a cui Dan Auerbach aggiunge un’altra chiave di lettura: «ho scritto i testi durante l’anno più difficile della mia vita, sono in mezzo a un divorzio e in quei mesi mi sono trovato solo in un monolocale a crescere un bambino di sei anni, intanto lavoravo all’album ed ero impegnato come produttore. È stata una vera sfida». Una sfida personale, a cui si è aggiunta quella professionale: pur non trovandosi alla «prova del secondo album dopo il debutto», i due Black Keys con il successo mondiale di El Camino hanno avuto a che fare con una pietra di paragone ingombrante per il loro Turn blue.

La loro ottava «fatica» infatti ha un piglio diverso: Weight of love, è una traccia che si dilata in quasi sette minuti di psichedelia e «che ci è sembrata perfetta per aprire l’album fin dal momento in cui abbiamo finito di registrarla», spiega Dan Auerbach parlando del cd che scorre liquido, incontra rapide come il singolo Fever, poi rallenta e si distende in anse che possono disorientare chi cerca il Black-Keys-sound da Lonely Boy. Diversamente da El Camino, «che era un album rock in tutta la sua gamma espressiva – spiega Patrick – questo nuovo lavoro non ha tanti singoli a effetto, andrebbe ascoltato tutto dall’inizio alla fine, proprio come si faceva con i dischi di Pink Floyd, David Bowie o Beatles, autori degli album migliori per continuità tra le tracce».

Alla produzione compare Brian «Danger Mouse» Burton, già in studio con i Black Keys, ma anche con Gorillaz, Beck e Sparklehorse. «Brian possiede un’immensa raccolta di colonne sonore cinematografiche, in studio ci ha proposto il campione di un vecchio film italiano [La Ragazzina, Nico Fidenco, 1974] su cui poi abbiamo scritto Year in Review» spiega Dan Auerbach, che come produttore ha lavorato su Nomad di Bombino e Ultraviolence di Lana del Rey e ha poi avviato una carriera solista con l’album Keep it hid del 2009. «I Black Keys però restano la priorità, il resto viene incastrato nei tempi liberi della band. Abbiamo provato a fare altro, sempre noi due, ma abbiamo fallito – scherza – ci avevano preso come giardinieri, tagliavamo l’erba, ma siamo stati licenziati». I Black Keys saranno in Italia l’8 giugno a Roma.